E' il nuovo business in Vietnam, l'allevamento di selvaggina. E si presenta come ambientalista, una soluzione al bracconaggio. In realtà non è proprio così. Secondo uno studio della Wildlife Conservation Society (WCS) e dell'agenzia vietnamita per la protezione forestale, il boom degli allevamenti sta svuotando le foreste a un ritmo accelerato.

L'indagine ha analizzato 78 allevamenti in dodici province vietnamite, evidenziando come il 42 per cento degli allevamenti si riforniscono regolarmente di popolazione selvatica.

Il 50 per cento degli allevatori ha ammesso che tutta la loro fauna proviene da esemplari selvatici. L'investigazione ha anche individuato i legami tra gli allevamenti e il traffico clandestino di fauna selvatica, e diversi allevatori hanno ammesso senza problemi di esportare clandestinamente fauna verso la Cina.

E così serpenti, tartarughe, coccodrilli, scimmie e perfino tigri sono venduti come "certificati" di allevamento. In questo modo è aumentata la tolleranza verso il commercio di fauna selvatica, ed è cresciuta sostanzialmente la domanda di mercato, e quindi la caccia illegale, anche di specie incluse nella lista rossa dell'IUCN.
"Invece di proteggere la fauna selvatica, il business degli allevamenti rappresenta una nuova minaccia" ha commentato Elizabeth L. Bennett, direttore del programma caccia del WCS.

L'allevamento di specie selvatiche era stato promosso anche allo scopo dei fornire un'alternativa al fabbisogno di proteine delle comunità locali, ma lo studio del WCS ha dimostrato che questi allevamenti non si sviluppano nelle zone rurali povere, e finalizzano la loro attività ai mercati di lusso delle grandi città. E' il caso del porcospino del Sud-est asiatico, ormai quasi scomparso in Vietnam, e intensamente cacciato dai bracconieri in Laos per soddisfare la domanda vietnamita: una coppia può costare fino a 600 dollari, pari a quattro mesi di stipendio medio.

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