La Cocha Brava, un'area di foresta incontaminata, una laguna sacra agli indios ricca di animali sconosciuti e di risorse preziose genetiche, un deposito immenso di carbonio. Questi prezioso forziere, insidiato dall'avanzata delle compagnie del taglio illegale e dalle concessioni petrolifere, potrebbe diventare un laboratorio di un modello di sviluppo amazzonico, rispettoso dell'ambiente, gestito dalle genti della regione, e in grado di assicurare una vita dignitosa senza intaccare i tesori dell'umanità. Vediamo come.

 

L'idea viene dal detentore di una concessione nella zona, Francesco Mantuano, che ha proposto un'alleanza alle comunità indigene della zona. Il suo ragionamento è lineare: il prelievo legale di legname è messo fuori mercato dal dumping sui prezzi praticato dagli estrattori illegali, quindi, invece di rendere la concessione allo Stato perché poco redditizia (e darla di fatto in pasto ai boss del legname) perché non valorizzarne la biodiversità con progetti finalizzati allo studio e alla conservazione?

Sarebbe possibile istituire un centro studi sulla biodiversità che potrebbe apportare vantaggi sia scientifici e sociali, con il coinvolgimento dei nativi locali, i “Capanahuas”, originari dei bacini alti dei rios Buncuya e Tapiche fino alle Sierras di Contamana e del Divisor, successivamente discesi a valle per sfuggire allo sfruttamento del caucciù e ora caduti nello sfruttamento delle imprese del legname. I Capanahuas hanno già fatto sapere che sono disponibili a fornire il loro supporto di esperienza e conoscenze tradizionali, per tornare da liberi nelle loro terre, sfuggendo al giogo dello sfruttamento forestale. I Capanahuas si sono dichiarati disponibili a fare da guardaboschi sia per la Cocha Brava (che considerano sacra) e le alture ancora ricoperte di foresta primaria, ma anche nel loro territorio.

Il progetto della Cocha Brava potrebbe essere sostenuto da un sistema di crediti di carbonio, sia sull'area della concessione che nelle foreste delle comunità indigene, nell'ambito dello schema REDD (Reduced Emissions from Deforestation and Degradation) creato dall'ONU e volto a ridurre le emissioni di gas serra causate dalla deforestazione e dal degrado forestale. quello collaterale di immettere la mia concessione nel mercato volontario dei “Buoni di Carbonio”, unitamente al territorio della locale Comunitá Nativa (unico esempio simile in tutta la Regione Loreto e forse in tutta la Amazzonia peruviana) per riprendere il percorso interrotto nel 2009.
Nel maggio del 2009, sette mesi prima di “Copenaghen 2009”, redassi e iniziai a diffondere, per incarico dell'allora Presidente dei Concessionari Forestali di Loreto (la Regione amazzonica peruviana la cui capitale é Iquitos), un Piano chiamato “Alianza Bosque Vivo” che verteva sulla proposta di riunire in una mega-cooperativa regionale i 250 concessionari forestali Loretani, le Comunità Native della Regione e consorzi provinciali della categoria agraria, con lo scopo di assegnare gran parte della foresta di propria pertinenza alla cattura del carbonio atmosférico, attraverso la sua buona gestione, uniforme e verificabile, da parte di organismi regionali,nazionali ed internazionali; nella speranza di portare a Copenaghen una proposta concreta e già preparata a livello locale: sarebbe stato possibile riunire 10 milioni di ettari di foresta (un terzo dell'Italia) in una struttura organica con gestione, uniforme e verificabile (un fatto assolutamente innovativo nella regione), unendo categorie divise da annosi conflitti, come i concessionari (eredi dei coloni), gli agrari (che per tradizione hanno combattuto la foresta con ogni risorsa, per ridurla in piantagioni) e i Nativi (che all'opposto, si ritengono i “custodi della foresta”, ma non sempre con risultati efficaci). Assieme avrebbero dovuto impegnarsi a catturare carbonio, pur mantenendo i rispettivi diritti alla terra, e ottenendo in cambio sostegno finanziario e supporto tecnico. Il progetto era destinato a sperimentare una autonomia eco-produttiva della Regione Loreto, il cuore dell'Amazzonia peruviana, ma proprio in virtù delle sue potenzialità, è stato avocato a sé dal Governo Regionale di Loreto, e si è disperso nei lunghi tempi della burocrazia, fino ad essere sepolto definitivamente dagli effetti della crisi economica mondiale.

Un altro valore strategico della biodiversità della Cocha Brava, è nel genoma ittico da essa preservato, forse il più antico della regione, e che può rivelarsi una a risorsa alimentare strategica per tutta l'area amazzonica. In particolare il gigantesco pesce Paiche, altrimenti noto col nome brasiliano di Pirarucu (Arapaima gigas), che vive indisturbato nella Cocha Brava, arrivando ai 150 kg. di peso. Questo pesce è essenziale al fabbisogno proteico delle popolazioni amazzoniche, e il suo allevamento potrebbe rappresentare una risorsa essenziale. Finora l'allevamento del Paiche é stato meno che "artigianale", data la impossibilità di distinguerne il sesso; cosa che limita molto la sua riproduzione in cattività e non attrae gli investimenti.

Da poco il centro francese Institut Recherche pour le Développement, assieme all'Instituto Investigaciones Amazonia Peruana di Iquitos (organismo di studi del Ministero dell'Ambiente Peruviano) ha avviato uno studio volto all'individuazione del sesso del Paiche proprio per facilitarne l'allevamento, e il patrimonio genetico dei giganteschi Paiches della Cocha Brava, forse col genoma più antico, potrebbe rivelarsi decisivo. Anche il DOE Joint Genome Institute, del dipartimento energia degli Stati Uniti, è impegnato in un progetto di ricerca e decodifica del genoma delle specie animali nel mondo, e potrebbe contribuire alla ricerca.


Nelle remote aree della foresta Amazzonica, due diversi modelli di sviluppo si stanno scontrando: da una parte la globalizzazione spianata dai grandi collegamenti transoceanici e tappezzata di feudi estrattivi, che si appresta a sfruttare risorse di scarso valore ma di resa a breve termine (legname, petrolio, minerali, piantagioni) a costo di distruggere un valore in commensurato in termini di biodiversità (e assieme ad essa la vita delle popolazioni indigene superstiti), dall'altra lo sviluppo di progetti basati sul territorio e sulle sue specificità, volti a sostenere le economie e le comunità locali proteggendo e valorizzando il patrimonio di biodiversità della foresta amazzonica. Uno dei due modelli prenderà il sopravvento, e i suoi effetti andranno ben aldilà del Bacino Amazzonico, e sono forse destinati a influenzare il destino del pianta Terra.

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