E' cominciata con un morto sul lavoro, in una concessione forestale al confine estremo del Camerun. Uno dei tanti che hanno pagato con un tributo di sangue il salasso della foresta africana. La notizia è riportata da Villaggio Globale: quando l'azienda si è rifiutata di prendersi cura del funerale del vecchio impiegato, i dipendenti si sono ribellati, denunciando una lunga storia di discriminazioni razziali, sfruttamento e violazioni dei diritti dei lavoratori. E' accaduto presso gli impianti del gruppo Sefac, impresa camerunense legata all'italiana Vasto Legno.

Tre giorni di sciopero, fino all'arrivo nel il villaggio di Libongo del Prefetto e del Viceprefetto del Camerun insieme a responsabili sindacali scortati dalla gendarmeria nazionale. La Sefac opera opera nel sud-est del Camerun, in un'area remota, stretta tra aree protette o di alto valore biologico.
Non è la prima volta che la Sefac si trova coinvolta in conflitti con la popolazione locale. Dopo la distruzione di alcune case del villaggio centrafricano di Mboy II per la realizzazione di piste forestali nel 1997, l'azienda è stata accusata dell'arresto illecito di 35 persone che protestavano pacificamente nel 1998. Tra il 1999 ed il 2000 la Vasto Legno è stata accusata di taglio illegale nelle concessioni 10-08 e 10-10, che ancora non erano state allocate (e che successivamente è riuscita ad ottenere malgrado le illegalità ivi compiute). Nel marzo 2000, è stata anche multata di 4 milioni di franchi centrafricani per taglio illegale nella concessione 10-12 e nel luglio 2000 è stata esclusa da tutte le gare d'appalto delle concessioni, per poi essere riammessa nel 2001. Di recente, nel maggio 2009 il REM (Resources Environmental Management) ha rilavato false dichiarazioni da parte dell'azienda sui volumi tagliati e lo scorso anno alcuni dipendenti italiani sono finiti sotto inchiesta per furto di tronchi e commercio illegale di legno con la Repubblica Centrafricana e la Repubblica del Congo.

L'azienda continua a fare un uso illegale del marchio Fsc (riportandolo sul proprio sito e sull'elenco delle certificazioni in possesso) nonostante la certificazione gli sia stata ritirata nell'ottobre 2009 come confermato dall'ente certificatore Icila.

I dipendenti camerunesi dell'azienda lamentano gravi discriminazioni razziali. Le proteste sono esplose dopo che il corpo dell'operaio deceduto è stato scaricato dai suoi colleghi sulla scrivania del direttore della Sefac. I manifestanti lamentavano l'assenza di assistenza sanitaria per l'operaio e il mancato pagamento dei funerali da parte dell'azienda. In molti, però, hanno ribadito che l'episodio è solo l'ultima goccia di una serie di atti discriminatori compiuti dai titolari italiani dell'azienda nei confronti del personale locale, che denuncia di essere sottopagato (lo stipendio medio è di circa 60 Euro mensili), trattato in maniera schiavista e costretto ad orari di lavoro di 12-16 ore.
Gli operai della Sefac hanno dichiarato alle autorità locali di aver subito numerose intimidazioni nel corso degli ultimi anni per placare le proteste e denunciano la tratta di prostitute minorenni ad opera dei dipendenti italiani dai villaggi di Libongo e Bela.

I pigmei, associatisi ai disordini di questi giorni, denunciano di essere stati allontanati con l'uso della violenza dalla foresta ed essere stati costretti a vivere ai margini della strada ed a svolgere lavori pesanti dai guardiacaccia inviati dalla Sefac. I pigmei lamentano, inoltre, l'intensificazione del bracconaggio operato lungo le strade create dall'azienda per il taglio del legno.

 

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