Roma, 11 aprile 2007 - La foresta pluviale del Congo, la seconda per estensione dopo quella Amazzonica, una delle principali difese del pianeta contro i cambiamenti climatici, è a rischio. Lo rivela Sos Congo", un nuovo scioccante rapporto lanciato oggi da Greenpeace, che mostra come le multinazionali del legno stiano operando nella Repubblica Democratica del Congo causando disordini sociali e distruggendo l'ambiente. Solo le emissioni di CO2 che provengono dalla deforestazione contribuiscono per il 25 per cento alle emissioni di gas serra nel mondo. Si pensa che l'eliminazione della foresta del Congo rilascerà  fino a 34,4 miliardi di tonnellate di CO2 entro il 2050, pari a circa 60 volte le emissioni che l'Italia produce annualmente.

Mentre il board della Banca Mondiale si riunisce a Washington, il rapporto di Greenpeace rivela come gli sforzi di quest'istituzione di controllare l' industria del legno stiano fallendo mentre la foresta scompare nell'illusione che estraendo il legno si possa combattere la povertà . "Le foreste della Repubblica Democratica del Congo hanno le ore contate. Nonostante la Banca Mondiale aiuti il Congo a fermarne la distruzione, queste saranno presto vittime delle motoseghe" afferma Sergio Baffoni, responsabile foreste di Greenpeace. In violazione di una moratoria nazionale sui diritti di taglio in vigore dal 2002, sono stati stipulati 100 contratti di taglio per 15 milioni di ettari di foresta pluviale, un'area cinque volte più grande del Belgio.

La deforestazione mette in pericolo la sopravvivenza di numerose specie, tra le quali i nostri più vicini parenti, lo scimpanzè e il bonobo. 40 milioni di persone dipendono dalla foresta pluviale della Repubblica Democratica del Congo. Solo in pochi traggono benefici dal taglio: la stessa Banca Mondiale ammette che negli ultimi tre anni nessuna delle tasse pagate dalle multinazionali del legno ha raggiunto le comunità  che vivono nelle foreste. Greenpeace ha ottenuto copie di diversi contratti imposti ai locali. Alcuni offrono in cambio sacchi di sale e bottiglie di birra, del valore di meno di cento dollari in cambio di diritti di taglio stimabili in migliaia di dollari. Quasi mai le promesse di costruire scuole e ospedali vengono mantenute e spesso vengono utilizzate tattiche intimidatorie nei confronti di chi tenta di protestare."Questi contratti sono vergognosi resti dei tempi coloniali. Milioni di ettari della foresta pluviale del Congo sono stati ceduti in cambio di sale e pinte di birra, mentre le multinazionali non fanno pressoché nulla per lo sviluppo locale", conclude Baffoni. Greenpeace chiede la cancellazione di tutti i contratti di taglio stipulati dal maggio 2002 e l'estensione e il rafforzamento della moratoria finché il settore non sarà ripulito e controllato e finché non sarà pienamente attivo un piano di sfruttamento delle risorse che includa la partecipazione delle comunità  locali."

 

 

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