In tutto il mondo alberi “alieni” vengono piantati in grandi piantagioni commerciali per produrre materie prime industriali, causando danni irreparabili al suolo, all’ambiente e alle comunità locali. Per mano dell’industria, piante esotiche, o “aliene” strappate al proprio ambiente, scacciano gli ambienti naturali di un’altra regione. La colpa non è degli alberi, che sono essenziali nell’ambiente in cui sono nati e cresciuti, la colpa è di chi li pianta nel posto sbagliato, per profitto o per ignoranza.
Gli eucalipti vengono abbattuti in Australia, da cui provengono, e piantati a milioni come eserciti a ranghi serrati in Sudamerica e Sudafrica. L’africana acacia viene invece estirpata dalle proprie foreste native e viene mandata a distruggere e invadere le foreste pluviali del Sudest asiatico per produrre carta. L’americano douglas occupa il posto di piante autoctone in Scandinavia, in Europa centrale e perfino nelle nostre aree urbanizzate.
Mentre da decenni Legambiente e le altre associazioni ambientaliste onorano la festa dell’albero piantando decine di migliaia di alberi originari (nativi) in ciascuna regione, c’è chi sembra invece voler onorare la globalizzazione: Casapound ha organizzato un grande battage pubblicitario striscioni nel cemento "gli alberi sono le colonne della nazione", a firma dell’associazione collaterale “La Foreste che Aavanza" corredati da qualche sparuta pianta esotica: conifere a Bari, douglas a Ascoli Piceno, thuje a Pavia.
Cosa c’entrano le foreste con le nazioni non è dato saperlo, dato che dei confini nazionali ne farebbero volentieri a meno. Tanto meno è dato sapere cosa c’entrano foreste e nazione con i prodotti dell’industria forestale globale. Più che la "foresta che avanza", ad avanzare sembra l’industria delle piantagioni. Un migliore inno alla globalizzazione post-industriale della natura è difficile immaginarlo.