A Koroama manca l’acqua da sei mesi. "Prima hanno dragato il fiume, poi hanno cominciato a bruciare il gas" racconta Kingsay Kwokwo, un capo villaggio che alla 'responsabilità sociale' delle multinazionali del petrolio non crede più.
In quest’angolo del Delta del Niger, nello Stato di Bayelsa sotto il tacco della Royal Dutch Shell, la MISNA è accompagnata da un piccolo gruppo di difensori dei diritti umani. "Le società straniere promettono milioni di dollari in progetti di sviluppo locale, ma spesso alle comunità non arriva nulla" dice padre Edward Obi, un missionario che dirige il Center for Social and Corporate Responsibility (CCSR).


L'ultima conferma arriva dalla regione di Gbaran-Ubie, dove a giugno è stato inaugurato un impianto "integrato" per il petrolio e il gas naturale. L’opera è una delle più significative tra quelle realizzate da Shell, alla conquista del Delta dal 1936. A pieno regime l'anno prossimo sarà in grado di produrre un miliardo di metri cubi di metano al giorno, circa un quarto dell’intera produzione nigeriana. Gli idrocarburi sono raffinati sul posto prima di essere inviati a Bonny Island, un terminale noto alle cronache per le tangenti milionarie versate a politici e funzionari da società nordamericane ed europee. A Koroama, invece, resta la rabbia. Il villaggio è sventrato da due oleodotti nonostante la loro costruzione fosse vietata da uno studio di sostenibilità ambientale effettuato dal governo nigeriano nel 2005. 2Quel documento – sottolinea padre Edward – prevede anche che Shell garantisca un sistema di forniture di acqua potabile per compensare almeno in parte i danni ambientali". I giovani del Center for Social and Corporate Responsibility hanno raggiunto 17 villaggi e intervistato centinaia di persone. Degli acquedotti promessi non c’è traccia, nonostante Shell sostenga che dall’inizio dei lavori le comunità locali abbiano ottenuto “benefici e lavoro. Nei villaggi ricordano come fosse ieri le promesse che l’odore e i veleni del gas bruciato sarebbero durati poco. "Ma da giugno le fiamme nel cielo del Delta non si sono mai spente2 assicura un capo tradizionale che dal suo villaggio vede ciminiere e torri di metallo. C’è rabbia e delusione anche quando si parla di lavoro, "300 posti a tempo indeterminato" sostiene Shell. "I tecnici e gli operai li portano da fuori2 risponde la gente dei villaggi. A maggio le proteste delle donne della regione di Gbaran-Ubie hanno costretto il governatore di Bayelsa a una mediazione. Per completare i 'progetti sociali' previsti da un accordo firmato da Shell con le comunità locali, ora, ci sarà tempo fino al 31 dicembre. "Ma anche questa - dicono alla MISNA dal Delta – è solo un’illusione".

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