Miliardi di dollari sono stati investiti nel faraonico quanto dilettantesco progetto di piantare una barriera lunga 5 mila chilometri di alberi (e larga dici chilometri) per fermare l’avanzata del deserto, attraversando una decina di paesi dal Senegal a fino a Gibuti. Ma i fondi non erano sufficienti, e l’arido Sahel non p il posto dove facilmente gli alberi piantati attecchiscono. Inoltre non c’era un solo studio scientifico dietro il progetto, che suggerisse qualche possibilità di successo. In alcune aree il deserto avanza per l’uso intensivo di suolo, quindi la barriera sarebbe servita a poco. In altre aree è stato vietato l’accesso alla “barriera” lasciando gli alberelli soli a sé stessi e senza cure.
 
"Se tutti gli alberi che sono stati piantati nel Sahara dal 1980 a oggi fossero sopravvissuti, quest’area sarebbe oggi simile all’Amazzonia", commenta Chris Reij, del World Resources Institute. “Almeno l'80 per cento degli alberi piantati è morto.” Ma mentre i progetti faraonici fallivano miseramente, gli agricoltori in Niger e del Burkina Faso hanno scoperto un modo economico ed efficace per rinverdire Sahel,  utilizzando semplici tecniche di raccolta delle acque e proteggendo gli alberi che sono cresciuti  da soli nelle loro fattorie.

Ora, poco a poco, dall’idea  di una Grande Muraglia Verde si è passati a valorizzare le tecniche di gestione del suolo sviluppate dagli indigeni. Un’approccio che ha finalmente convinto anche l'Unione africana, la FAO e perfino la Banca Mondiale. "Abbiamo spostato l’approccio da quello di una Grande muraglia verde verso uno più efficace", dice Mohamed Bakarr, del Global Environment Facility, della Banca mondiale. "Non è necessariamente un muro fisico, ma piuttosto un mosaico di pratiche di uso del suolo che alla fine fa lo stesso lavoro."

Il Sahel si estendecirca 5 mila chilometri, dall'Oceano Atlantico all'Oceano Indiano, costeggiando il bordo  meridionale del Sahara. Le precipitazioni sono base, e la siccità frequente. I cambiamenti climatici comportano piogge più intense ma più rare, rendendo la vita più difficile in una delle regioni più povere del mondo. Entro il 2050, la popolazione del Sahel potrebbe arrivare a 340 milioni rispetto ai 30 milioni del 1950 e ai 135 milioni di oggi.

Reij ha iniziato a lavorare nel Sahel quando il terreno letteralmente soffiava via durante tempeste di polvere. Dopo alcuni anni di assenza, nel 2004 Reij è tornato in Niger e Burkina Faso,di cui ricordare le tempeste di polvere, e non riconosceva più i luoghi, e perfino i villaggi erano invisibili, nascosti tra gli altri. Centinaia di migliaia di agricoltori avevano adottato modifiche ingegnose delle pratiche agricole tradizionali, trasformando vaste aree in terreni produttive, aumentando la produzione di cibo e di combustibile per circa 3 milioni di persone.

Te tecniche adottate sono molto semplici: pozzi per sopravvivere ai periodi di siccità, barriere attorno ai campi per fermare la dilatazione e aumentare l’assorbimento dell’acqua piovana, alberi piantati attorno ai campi, da usare per foraggiare il bestiame e per fare il fuoco. Gli alberi erano stati protetti dall’amministrazione coloniale francese, come avviene in madrepatria. Ma vietandone l’uso tradizionale, l’amministrazione ha ottenuto l’effetto contrario: i contadini si sono disinteressati alla salute degli alberi, che poco a poco sono deperiti. Quando è stato consentito loro di utilizzali il loro rapporto con le gli alberi è cambiato e ora le campagne sono un’unica area verdeggiante.
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