La secolare esperienza di gestione del patrimonio naturale da parte dei monaci benedettini camaldolesi è il tema del convegno che si apre oggi presso il Monastero di Camaldoli il 28 e 29 maggio.
La filiera agro-silvo-pastorale istituita e gestita per oltre otto secoli dai monaci camaldolesi è un esempio tangibile di gestione multifunzionale, flessibile e durevole delle risorse.
I principi di sostenibilità e multifunzionalità che oggi accompagnano le politiche di sviluppo territoriale e di valorizzazione delle risorse ambientali, non sono una novità nella storia della montagna italiana e in particolare per l'Appennino centrale. La filiera agro-silvo-pastorale istituita e gestita per oltre otto secoli dai monaci Camaldolesi è infatti un esempio tangibile di gestione multifunzionale, flessibile e durevole delle risorse. Comprenderne i principi di base, analizzarne i dinamismi e attualizzarne i significati sono fra gli obiettivi del progetto "Codice Forestale Camaldolese, le radici della sostenibilità".
Questo primo incontro, dedicato alle foreste, oggetto e simbolo della presenza della Congregazione Camaldolese, attraverso le testimonianze e gli studi di monaci, ricercatori e tecnici forestali vuole ricostruire la complessità e l'efficienza di un sistema consolidato nel tempo, che può rappresentare un moderno modello per una gestione attiva e sostenibile delle risorse ambientali.
Le foreste italiane non sono un museo ma una risorsa ambientale, economica e sociale - spiega Raoul Romano dell'Osservatorio Foreste Inea e coordinatore del progetto Codice forestale camaldolese, anticipando la presentazione del primo volume cartaceo dal titolo Il Codice forestale camaldolese. Le radici della sostenibilita - Se oggi le foreste del Casentino sono un patrimonio inestimabile dal punto di vista ambientale - afferma Romano - lo dobbiamo alla visione di lungo periodo dei Camaldolesi che hanno saputo coltivare e utilizzare il bosco senza distruggerlo, trasformandolo in una fonte di sviluppo economico e sociale per la popolazione locale del tempo e per le generazioni che lo hanno abitato, e vivono ancora oggi".
Da 8 secoli è già in vigore una sorta di 'welfare', ovvero un'assistenza sanitaria gratuita e addirittura una pensione che veniva assicurata dai Camaldolesi a chi lavorara nelle foreste, e che la tecnica della riforestazione era gia' un'attivita' praticata regolarmente. Simbolo della lotta per la salvaguardia dei boschi nazionali e' l'Abete bianco che sostitui' il faggio divenendo una grande fonte di ricchezza."
I sei criteri che a livello internazionale, sono oggi stati individuati per definire la Gestione Forestale Sostenibile trovano infatti riscontro puntuale nelle pratiche camaldolesi. Il principio comune era la gestione responsabile della foresta, per garantire la fruizione della risorsa anche alle generazioni successive. "Le tecniche utilizzate, che si sono alternate nei secoli, erano cosi' all'avanguardia che oggi le troviamo nei testi di selvicoltura - aggiunge Romano - Per ogni albero tagliato ne venivano ripiantati degli altri: sono stati costituiti veri e propri vivai che hanno fornito da 3.000 a 30.000 nuove piantine. E dopo il taglio, il terreno veniva lavorato e lasciato a foraggio o a coltivazioni cerealicole per un anno, così da garantire l'arricchimento di nuove sostanze nutritive e integrando così il reddito delle popolazioni locali".
L'abete bianco, fu scelto inizialmente in quanto simbolo dell'eremita ma successivamente si rivelò fondamentale a livello economico perche' le città, e in particolare delle Repubbliche marinare, richiedevano grandi rifornimenti di legname. Il legname delle foreste del Casentino, lungo l'Arno, raggiunse Firenze, il porto di Livorno e di Pisa fino a essere utilizzato pure nei cantieri della marina britannica.
Negli ultimi 50 anni, però, in Italia, la risorsa bosco è stata abbandonata e si preferisce importare legname, anche da paesi a rischio di deforestazione, a causa dei prezzi più vantaggiosi. Da qui la necessità di riappropriarsi degli antichi insegnamenti.