Inizio moscio per il vertice di Cancún, dominato dalla sfiducia reciproca. Sotto attacco lo scarso impegno statunitense, le proposte oblique dell'Europa, e le scappatoie di cui è zeppo il programma REDD (Ridurre le Emissioni da Deforestazione e Degrado forestale). Secondo la Global Forest Coalition and Indigenous Environmental Network (IEN) "L'accordo sul REDD come si presenta ora, alla Cancún, sarà sinonimo di disastro per i popoli delle foreste di tutto il mondo, perché limita i diritti delle comunità indigene e dei contadini sulle proprie terre. La vera soluzione è che i paesi sviluppati riducano le emissioni di gas serra all'origine".
Certo che dobbiamo fermare la deforestazione - ha aggiunto Tom Goldtooth, dell'IEN - ma il REDD non proteggerà le foreste, né ridurrà le emissioni. Il REDD consente alle industrie inquinanti di evitare la riduzione delle emissioni. Dal punto di vista dei popoli indigeni e dei diritti umani, senza le necessarie misure di salvaguardia, il REDD rischia di criminalizzare proprio chi protegge le foreste, vivendoci e contando sulle loro risorse. Il REDD promuove la più grande corsa alla terra di tutti i tempi".
Ma non è tutto. Ad accrescere il clima di sfiducia, è una scappatoia finalizzata a falsare il computo delle emissioni dell'industria forestale nei paesi sviluppati: la regola per il computo delle emissioni da disboscamento delle foreste che è ora in fase di negoziazione a colloqui sul clima a Cancun minaccia di mettere l'integrità diell'accordo sul riscaldamento globale. L'incentivo consentirebbe nazioni ricche a far crescere l'industria forestale senza contabilizzare i gas serra emessi, truccando il conteggio delle emissioni. La proposta prevede la revisione dei meccanismi che regolano le emissioni da cambiamento di uso del suolo e dell'industria forestale (LULUCF) .
"Si tratta di un trucco così sfacciato da sembrare una barzelletta - ha commentato Melanie Coath, della Royal Society for the Protection of Birds - Servono invece incentivi che spingano i paesi sviluppati a ridurre le loro emissioni, non abbiamo certo bisogno di aumentare l'impunità".
Il nuovo rapporto quantifica l'impatto della scappatoia sui paesi ricchi, quelli inclusi nell'allegato 1. L'incentivo minaccia di minare gli impegni alla riduzione delle emissioni, già assunti da Norvegia, Russia, Australia, Giappone, Svizzera, Unione Europea e Nuova Zelanda.
La Nuova Zelanda, per esempio, punta a tagliare le emissioni in tutta la sua economia dal 10 al 20 per cento entro il 2020. Ma l'incentivo LULUCF permetterebbe alle imprese forestali di abbattere più alberi e mantenere la crescita delle emissioni fuori dai conteggi. Il risultato sarebbe un aumento del 45 per cento delle emissioni della Nuova Zelanda, invece della prevista riduzione. Il piano della Norvegia di tagliare le emissioni tra il 30 e il 40 per cento, si ridurrebbe a un 22-32 per cento. L'obiettivo della Russia di una riduzione del 15-25 non arriverebbe al 9,5-19,5 per cento, mentre in Australia 5-15 obiettivo per cento verrebbe ridotto a 1 a 11 per cento.
Insomma, vera e propria contabilità creativa, sulla base di un semplice escamotage: il "livello di riferimento". Il trucco è semplice: l'anno su cui si misura la riduzione delle emissioni non è il 1990, e neppure il 20005, ma si sposta nel futuro. Fino a quell'anno, i paesi potranno aumentare liberamente le emissioni dell'industria forestale, e una volta aumentate, usare il loro livello come pietra di paragone. Tutto quello che sta sotto, sarà calcolato come una riduzione.
Si tratta di una novità assoluta - oltre che di una solenne corbelleria - nell'ambito dei negoziati sul clima delle Nazioni Unite. Non tutti i paesi si sono impegnati a ridurre le emissioni usando il 1990 come anno di riferimento, alcuni hanno usato il trucchetto di scegliere anni successivi (2000, 2005), per far apparire riduzioni maggiori anche dove non ci sono, ma a nessuno era mai venuto in mente di scegliere un anno ancora a venire.
La scappatoia è stata duramente criticata dalle nazioni ricche e povere. Il gruppo di paesi Africani e l'isola del Pacifico di Tuvalu, per conto di altri Stati insulari, hanno chiesto di eliminarla via, richiedendo inoltre maggiore trasparenza.