Una società di consulenza che incoraggia ad abbattere le foreste, e allo stesso tempo fa intascare gli aiuti contro la deforestazione, non può che essere molto amata dai governi. E infatti la McKinsey ha prodotto dal 2007 gli studi diventati punto di riferimento nella complicata materia della riduzione del riscaldamento globale. Congo, Guyana o Indonesia aspirano a una fetta dei 4,6 miliardi di dollari previsti dall'accordo internazionale di Cancun (2010) per salvare le foreste pluviali. Ed ecco che compilano dossier ispirati ai dati McKinsey, marchio che apre le porte del mondo degli affari e delle istituzioni internazionali, per poter essere quasi certi di ottenere gli aiuti sperati. Solo che, secondo il rapporto "Bad Influence" pubblicato da Greenpeace, le carte distribuite da McKinsey sono truccate, non hanno alcun valore scientifico. Risponderebbero, in realtà, all'esigenza di alcuni Stati di continuare lo sfruttamento economico del polmone verde del Pianeta, venendo pure pagati per farlo.
La McKinsey, conosciuta anche come The Firm, fondata nel 1926 a Chicago dal professore universitario James O. McKinsey, è la più influente società di consulenza del mondo, con circa 16 mila dipendenti e una rete di «ex» impiantata ai più alti livelli della politica e dell'economia mondiale. Un bersaglio perfetto per Greenpeace, tradizionalmente poco tenera con i grandi nomi del capitalismo globalizzato. Fondata nel 1970 dai tre pionieri Jim Bohlen, Paul Cote e Irving Stowe che protestavano contro un secondo esperimento nucleare alle Isole Aleutine in Alaska, oggi Greenpeace è la più grande associazione ambientalista con uffici in oltre 40 Paesi e 2,8 milioni di donatori in tutto il mondo: nel rapporto «Bad Influence» appena pubblicato, l'organizzazione della pace verde si lancia contro l'«influenza nefasta» di McKinsey nella lotta alla deforestazione, citando alcuni casi significativi.
Nella Repubblica democratica del Congo, McKinsey consiglia al governo di Kinshasa di chiedere risarcimenti perché l'industria del legname raddoppierà l'abbattimento degli alberi entro il 2030. Un sforzo da premiare, secondo la società di consulenza, altrimenti le piante tagliate potrebbero triplicare.
In Guyana, in base ai dati di McKinsey, il tasso di deforestazione è del 4,3% all'anno; per evitare la totale sparizione della foresta pluviale entro il 2035, Paesi donatori come Norvegia o Gran Bretagna dovranno versare oltre 400 milioni di euro all'anno alla piccola repubblica sudamericana. Secondo Greenpeace, invece, il tasso di deforestazione attuale è molto più basso, attorno allo 0,1%: questo permetterà agli industriali del legno di aumentare gli abbattimenti, ed essere comunque risarciti.
In Indonesia, per ridurre i danni alla foresta pluviale, gli studi di McKinsey consigliano di arrestare la coltivazione della terra ad opera dei piccoli agricoltori, incoraggiando invece l'allargamento delle piantagioni di alberi destinati però a essere abbattuti. In questo modo, secondo McKinsey, si ottiene la stessa riduzione di biossido di carbonio, a costi 30 volte inferiori... dimenticando che queste piantagioni solitamente sono estese ai danni delle torbiere, e che sono proprio loro la principale causa di emissioni del paese!
A guadagnarci sono il governo e ancora una volta l'industria del legname, non certo i contadini indonesiani e neanche gli oranghi del Borneo, in via di estinzione.
Greenpeace chiede a McKinsey di rivelare le fonti dei suoi studi. McKinsey rifiuta di farlo in perché- dice- comprometterebbe il rapporto di riservatezza con i clienti. Evviva la trasparenza!

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