Dal Canada al Congo, le sabbie bituminose attraggono petrolieri all'assalto delle foreste. Preziosi habitat naturali incontaminati vengono rimossi per scavare sabbie ricche di bitumi da cui estrarre petrolio, le tar sands. Oltre all'abbattimento delle foreste e allo sconvolgimento dei suoli, queste miniere a cielo aperto causano un forte inquinamento e scarichi di residui.
Nella Repubblica del Congo l'italiana ENI ha avviato un ambizioso piano di investimenti per lo sfruttamento delle sabbie bituminose, in un contesto ben più critico di quello canadese, e con potenziali di impatto ben più gravi.

 

L'estrazione di combustibile dalle sabbie bituminose è fortemente controversa, in quanto consuma più energia di quanta ne produca. Tanto più che le foreste del Bacino del Congo sono candidate ai fondi per la conservazione, in virtù del prezioso servizio di sequestro di carbonio da esse assicurato.

 

Al tempo stesso l'ENI ha accompagnato il progetto ad un piano per lo sviluppo di coltivazioni per la produzione di bio-combustibili, dalla jatropha all'olio di palma. L'espansione di queste piantagioni comporta al tempo stesso l'avanzata delle piantagioni e l'espropriazione di campi di sussistenza dei contadini locali.

L'area interessata dalle attività dell'ENI in Congo, quella di Tchikatanga e di Tchikatanga-Makola, si svolge su un  territorio di 1.790 chilometri quadrati. La posizione esatta delle piantagioni di palma da olio è sconosciuta, ma si sostengono 70.000 ettari di terra "attualmente incolta"  L'ENI sostiene che nessun progetto coinvolgerà la foresta pluviale e le aree ad elevata biodiversità o il trasferimento forzato delle popolazioni locali. Ma dalle stesse ricerche condotte dalla società petrolifera, risulta che l'area in cui si ricaveranno le sabbie bituminose è per circa il 70 per cento ricoperta da foreste e da zone molto sensibili dal punto di vista ambientale, come viene per l'appunto svelato nel rapporto.

Lo denuncia la Campagna per la Riforma della Banca Mondiale (CRBM), che partecipa alla pubblicazione di un rapporto d'indagine elaborato con BankTrack, Commissione Gisutizia e Pace, Fondazione Banca Etica, Friends of the Earth, Misereor, Rainforest Action Network, RPDH, Caritas

"Le popolazioni locali, che stanno già soffrendo gli impatti dello sfruttamento petrolifero, non sono state consultate nel modo adeguato sullo sviluppo dci nuovi progetti. Un fatto, questo, che viola le politiche ambientali e sui diritti umani della stessa ENI" denuncia l'attivista per i diritti umani Brice Mackosso.

"I nuovi progetti dell'Eni pongono l'accento sulla mancanza di controllo da parte del suo principale azionista, lo Stato italiano - ha commentato Elena Gerebizza della Campagna per la riforma della Banca mondiale - L'Italia ha una evidente responsabilità nell'assicurare che l'Eni consideri con attenzione gli impatti sull'ambiente e sullo sviluppo dei suoi investimenti e non operi contro gli interessi nazionali di riduzione delle emissioni di gas serra".

 

Joomla templates by a4joomla