La costruzione di centrali a biomassa sta facendo lievitare le importazioni europee di legname dalle foreste del sud mondo. Di fronte a una previsione di crescita del 600% del fabbisogno di legno, alcuni operatori del settore hanno iniziato ad acquistare terreni in Africa, America Latina e Asia per creare piantagioni di alberi. Corea del Sud, Mozambico, Cambogia e Indonesia rappresentano le aree nelle quali si sono concentrati gli interessi delle multinazionali.


Ma quali saranno le implicazioni per le popolazioni locali? Un documento dello Iied, International for Environment and Development, un istituto indipendente di ricerca britannico, spiega che la crescita della domanda globale di fonti energetiche rinnovabili, rischia di portare a una vera e propria corsa alla terra nei paesi in via di sviluppo, dove l'insicurezza alimentare è in aumento e diritti delle popolazioni sociali alle terre ancestrali sono fragili.

Il legno rappresenta ormai il 67% della fornitura di energia rinnovabile su scala globale e molti paesi del Nord stanno aumentando l'impiego di questo materiale, sia per ridurre la propria dipendenza dai combustibili fossili sia per contrastare il cambiamento climatico.

Il documento, rivolto ai responsabili delle politiche energetiche nei paesi sviluppati e in quelli in via di sviluppo, avverte che la crescente domanda di legname minaccia la sicurezza alimentare e il sostentamento delle popolazioni povere e più vulnerabili del mondo.

Come ha spiegato il ricercatore italiano Lorenzo Cotula, uno degli autori del documento, l'interesse crescente verso i terreni africani per progetti agroalimentari o bioenergetici crea seri rischi per le popolazioni locali. Queste infatti, seppur occupando le terre per generazioni, formalmente spesso godono soltanto di deboli diritti di uso, vengono consultate poco e dispongono di fragili meccanismi di ricorso legale.

Duncan Macqueen, un ricercatore senior e co-autore aggiunge, sottolinea poi che il legno è una fonte vitale di energia rinnovabile ed i paesi del Sud dovrebbero utilizzarlo per la sicurezza energetica locale, piuttosto che esportarlo alimentando il deficit energetico a scapito della propria popolazione.

In molti Paesi africani la terra appartiene allo Stato, e governi negoziano i contratti di affitto a lungo termine con gli investitori. «Le popolazioni possono aver occupato le terre per generazioni, ma spesso possono contare su deboli diritti di uso, vengono poco consultate e dispongono di fragili meccanismi di ricorso. Dove i diritti locali sono più forti, invece, ci sono problemi di attuazione, spesso legati a mancanza di know-how e rapporti di forza». Per gli esperti è necessario dunque, a livello preliminare, un «dibattito aperto sugli impatti sociali che le politiche energetiche dei Paesi del Nord del mondo minacciano di causare nei Paesi in via di sviluppo».

 

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