Lo dice l'Environment Agency (EA), l'ente ambientale britannico: nel 2030 le biomasse di origine agricola potrebbero produrre più CO2 dei combustibili fossili.
Secondo lo studio dell'Environment Agency, l'impiego di scarti legnosi produce i livelli più bassi di emissioni, mentre pioppi e salici, assieme alla colza, hanno gli indici più alti. L'agenzia ha quindi richiesto al governo di prevedere un dettagliato rapporto sulle emissioni di gas serra da tutte le imprese del settore.
Le biomasse sono state considerate a basso impatto, dato che il carbonio rilasciato durante la combustione viene nuovamente catturato dalle nuove piante in crescita. Ma non è così. Nel migliore dei casi le biomasse sono in grado di produrre 7kg di CO2 per kilowatt / ora: il 98 per cento in meno rispetto al carbone. Ma lo studio dell'Environment Agency ha dimostrato che questo vantaggio può essere facilmente riassorbito, soprattutto quando le colture a biomassa sono impiantate in praterie. E' quanto avviene in vasti tratti del Sudamerica, dove le piantagioni sostituiscono progressivamente le praterie. Queste piantagioni producono trucioli fin'ora impiegati per la produzione di carta e compensato, ma il loro mercato ha subito una forte impennata in seguito al boom delle biomasse. Inoltre, molti impianti a biomasse inoltre sono scarsamente efficienti, e il limitato vantaggio è velocemente disperso. "Le biomasse sono una risorsa limitata, e dobbiamo assicurarci che non sia buttata via in generatori inefficienti, che ad esempio non ottimizzano l'energia prodotta combinando il riscaldamento con la produzione di energia elettrica" ha spiegato Tony Grayling, dell'Environment Agency.
Proprio in questi giorni il World Rainforest Movement e la Global Forest Coalition hanno presentato una richiesta al Forum Foreste dell'Onu chiedendo che le piantagioni siano escluse da sovvenzioni e finanziamenti, proprio a causa del loro impatto sul clima, sulla biodiversità e sulle popolazioni native.