Dopo i gamberi, l'olio di palma. Nel giro di pochi decenni le foreste costiere del Guatemala, lussureggianti mangrovie estese su oltre 100.000 chilometri quadrati, si sono ridotte a un terzo. E non è finita. Le mangrovie continuano a sparire a un ritmo di 73.000 ettari l'anno.
Le foreste di mangrovie, con le radici perennemente nell'acqua salmastra, sono un essenziale habitat di specie acquatiche e di uccelli, oltre a rappresentare uno scudo contro mareggiate, uragani e tsunami. Le radici sommerse sono un ottimo habitat per la riproduzione dei pesci e migliaia di pescatori vivono grazie a loro, ma vedono le loro risorse restringersi progressivamente.
L'allevamento intensivo di gamberi ha ridotto le coste di molti paesi tropicali, tra cui il Guatemala, in un deserto inquinato. Ora è il turno delle piantagioni, dalla palma da olio alla canna da zucchero, che contendono palmo a palmo la foresta costiera all'industria turistica, alberghi e campi da golf.
Secondo l'Istituto Nazionale di Statistica, nel 2003 la coltivazione dell'olio di palma si estendeva su un'area di 31.185 ettari. Nel 2007, appena quattro anni dopo, la coltura dell'olio di palma era quadruplicata, arrivando a coprire 65.340 ettari, a causa del boom dei biodiesel. Anche la canna da zucchero, essenziale alla produzione di etanolo, ha visto un autentico boom, arrivando a coprire 216.000 ettari.
Secondo The Nature Conservancy, dagli anni cinquanta ad oggi 26.500 ettari di foresta palustre sono andate perdute e i residui 17.000 ettari sono composti da mangrovie nere (Avicennia germinans), bianche (Laguncularia racemosa) e rosse (Rhizophora mangle), tutte considerate protette dal Consiglio Nazionale per le Aree Protette.