– Che fate là compagni, tra le verdi foreste?
E Gamelyn rispose, senza guardare a terra:
– Deve battere i boschi chi non può entrare in paese.
Tra i verdi boschi non abbiamo leggi
né conosciam la fame.
Tranquilli e lieti abbiamo un cervo a pranzo,
quando viene l'estate.
Quando torna l'inverno e piogge e venti
porta, con nevi e gelo,
tornate incappucciati e accanto al fuoco
lieti mangiate.

(Le Freccia Nera, di Robert Louis Stevenson)

Le foreste europee, soprattutto nella fascia meridionale, hanno cominciato a diffondersi intorno all'8000 AC, al termine della glaciazione. Mano a mano che i ghiacci si ritirano, si espandono le conifere, seguite poi dalle latifoglie.

I primi insediamenti umani nelle foreste sono rappresentati da raccoglitori e cacciatori nomadi.
Nel quinto millennio inizia a diffondersi l'agricoltura, e assieme ad essa il processo di erosione della copertura forestale. I villaggi su palafitte della valle del Po, circondati da palizzate in legno, rappresentano forse la prima richiesta di legno come materia prima nella penisola italiana.
Ma è durante l'età del bronzo e l'età del ferro che la richiesta di legno inizia ad espandersi, prevalentemente come combustibile per il rifornimento delle strategiche fornaci di fusione del metallo. Successivamente, anche lo sviluppo di una fiorente industria del vetro, incrementa la richiesta di legna come combustibile.
Alla fine del periodo etrusco (3000 AC) il processo di deforestazione in Italia centrale ha già portato ad evidenti fenomeni di erosione del terreno, ma è in età romana che la conformazione del paesaggio muta radicalmente. L'agricoltura, già fiorente in età etrusca, è fortemente incentivata dalle politiche senatoriali di insediamento di nuove colonie agricole, in genere composte da veterani, allo scopo di controllare e romanizzare aree politicamente infide.
L'epoca romana
A questa forma di controllo politico si aggiunge un altro tipo di controllo, culturale-religioso: nella religiosità romana, i boschi sacri sono stati un elemento importantissimo, ma mano a mano che la repubblica si espande al nord in terre sconosciute, i boschi iniziano ad essere visti come un pericolo, soprattutto nelle terre di conquista. Le foreste rappresentano per il mondo romano un fattore di instabilità psicologica: offrono riparo a fuori legge ed emarginati sociali, e ospitano in genere divinità "nemiche" o sospette; i culti dei Celti, degli irriducibili nemici Galli, si praticano essenzialmente nel profondo delle foreste. Rimuovere le minacce costituite dai boschi, e sostituirle con terreno agricolo ordinato e ben amministrato diviene per i romani una missione di civilizzazione. Ovunque arrivavano le legioni romane (Francia, Spagna e Germania fino alla riva occidentale del Reno), la foresta viene aggredita, controllata, ridotta ove possibile ad aree ridimensionate, circondate da insediamenti agricoli gestiti da coloni fidati, di norma ex soldati.
I tratti di foresta residua, ormai circondati da appezzamenti agricoli, sono considerati un bene di uso comune (raccolta di legno e di altri prodotti, pascolo ecc.) dando una prima veste giuridica alle antiche consuetudini comunitarie degli usi civici.

A partire dalla seconda guerra punica inoltre, la forte richiesta di legno per la costruzione di navi, che inizia a pressare Roma, quando la repubblica agricola si inizia a trasformarsi in impero mediterraneo.
Il medio evo
Nel tardo impero si ha un'inversione del trend. L'agricoltura inizia a concentrarsi sui prodotti ad alto valore aggiunto (uva e olive), in quanto i cereali e le altre derrate alimentari di base provengono oramai dalle altre regioni dell'impero, mentre le altre aree vengono prevalentemente coltivate in forma estensiva, più redditizia economicamente (è l'epoca delle grandi tenute schiavistiche). Il fenomeno porta ad una lenta e progressiva retrocessione dell'agricoltura, che raggiunge l'apice con la crisi del sistema schiavistico e con la caduta dell'impero romano e il deperimento dei traffici commerciali. Fino al decimo secolo, i boschi riacquistano progressivamente terreno, favoriti dal clima caldo e umido dell'epoca.

Intorno all'anno mille l'incremento della popolazione e la ripresa dell'attività economica incrementano di nuovo la domanda di terra coltivata. Inizia così a più riprese il fenomeno dei dissodamenti. Gli ordini monastici sponsorizzano e organizzano il processo di colonizzazione di nuove terre, in genere recuperate bruciando aree boschive. I monasteri diventano così delle vere e proprie potenze economiche, e al tempo stesso riprendono sotto nuovi simboli, l'antica battaglia "civilizzatrice" dei romani contro le forze occulte delle foreste. I boschi continuano a celare oscure divinità pagane, assieme a tutte le forme di cultura popolare irriducibili al cristianesimo ortodosso (movimenti ereticali, fenomeni religiosi spontanei, residui di paganesimo popolare, stregoneria). Al contrario le terre agricole, ordinate e saggiamente amministrate dai monaci, rappresentano un microcosmo del divino ordine universale neoaristotelico.

D'altro canto lo sviluppo dell'economia comunale e la crescita delle città porta con sé una crescente richiesta di legno come combustibile e come materiale da costruzione, contribuendo ad una crescita della pressione sulle foreste.

L'espansione improvvisa delle città marinare, porta nuovamente con sé una forte richiesta di legno per la costruzione di navi. Pisa, Genova, poi seguite da Venezia, Messina, Palermo, Civitavecchia e Livorno iniziano ad abbattere i loro boschi per costruire le flotte commerciali e belliche che dominano i traffici nel Mediterraneo. Il drammatico impoverimento delle foreste in quest'epoca è documentato dal severo codice forestale promulgato dalla Repubblica di Venezia nel 1498, che sottopone qualsiasi albero a controllo pubblico .

Gli ordini monastici, che nei secoli precedenti avevano patrocinato e dato impulso alla trasformazione delle foreste in aree agricole, iniziano ora a proteggere le aree boschive poste sotto il loro controllo, gestendone le risorse (raccolta di legno, miele e prodotti spontanei) in forma razionale e integrata con l'attività agricola. Molte delle aree forestali più antiche che hanno raggiunto relativamente intatte i nostri anni, fanno parte delle antiche tenute monastiche, come Camaldoli e Vallombrosa .
L'era industriale
La rivoluzione industriale, per quanto arrivata in Italia con maggiore lentezza e minore intensità, portò ad un improvviso incremento della domanda di legno, come combustibile per le nuove macchine e come materiale di produzione. E' in questo periodo che nell'Italia settentrionale i proprietari terrieri sferrano il loro attacco ai diritti consuetudinari, allo scopo di trasformare boschi e foreste in terre coltivabili. Aree sempre più impervie vengono disboscate e terrazzate.

Nel Mezzogiorno il colpo di grazia ai boschi viene inferto negli anni immediatamente successivi all'unificazione (1861), quando tutte le aree di latifondo improduttivo dei baroni e della Chiesa vengono espropriate e vendute a privati. In pochi anni un'area pari ad un terzo della superficie globale del paese, passa in mani private e viene adibita ad usi produttivi, in genere quelli in grado di fornire il massimo profitto nel breve termine.

Lo sviluppo della ferrovia (da 2.000 a 16.000 chilometri in trent'anni) e l'improvvisa richiesta di legno per le traversine rappresentò un ulteriore fattore di disboscamento.
La massiccia deforestazione porta immediatamente ad un grave dissesto idrogeologico, tanto che già nel 1877 viene promulgata una legge che limita l'utilizzo di foreste strategiche nel contenimento dei flussi d'acqua. La legge proibiva l'abbattimento di alberi in tutte le aree più alte della zona di crescita del castagno.

Si calcola che intorno al 1900 sia andata perduta una superficie di boschi tra i 736.000 e il milione di ettari.

Solo nel 1923 venne promulgata una organica legge forestale volta, prevalentemente alla protezione del patrimonio idrogeologico. La legge 2367, molto rigida e vincolante per l'epoca, pone una serie di limitazioni e di controlli a su tutte le attività di abbattimento di alberi, e rimane tutt'ora il nocciolo del codice forestale italiano. La legge stabilisce severe restrizioni sull'utilizzo delle foreste di montagne e altipiani.

Contemporaneamente lo sviluppo di una industria del compensato incentiva un lento processo di riforestazione, seppure improntato a finalità commerciali (piantagioni a monocoltura), prevalentemente conifere nelle aree alpine e la piantagione del pioppo in Pianura Padana.

Il progressivo abbandono dell'agricoltura nella seconda metà del secolo ha portato ad una lenta ma costante espansione della copertura boschiva, ma si è trattato di un processo disordinato e casuale, nel quale la crescita di formazioni arbustive o perfino di piante aliene si è sostituita ad una appropriata ricostruzione del tessuto boschivo originario.

Nel corso degli anni '60 e '70 un ultimo attacco al paesaggio boschivo è stato portato dal turismo di massa.
Contemporaneamente diverse aree di alto valore ambientale sono state fortemente erose dal boom edilizio sostenuto dal fenomeno del turismo di massa, con un alto picco negli anni '60 e '70. Gran parte dei fenomeni di degrado ambientale in questi decenni sono da imputare prevalentemente alla costruzione di insediamenti umani e di strade .
In boom edilizio prodotto dall'industria turistica ha degradato quasi interamente le coste della penisola (prevalentemente ai danni della macchia mediterranea), isolate da una continua fascia di cemento, che in molte aree blocca il necessario scambio naturale tra gli ecosistemi dell'entroterra con quelli della costa.
Anche moltissime vallate montane ed aree umide sono state degradate. I paesaggi più belli sono stati deturpati da costruzioni massicce e invasive, tanto che in molte località un tempo rinomate, la stessa industria turistica ne ha subito una ricaduta con un trend negativo.



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