Nell'Amazzonia le paludi sono frequentissime: la scarsa pendenza del suolo e la grande massa di detriti che si accumulano, facilita il cambiamento di corso dei grandi fiumi, lasciando dietro di sé paludi e foreste alluvionali. Le anse si allungano fino a quando l'apertura di un percorso diretto le esclude, ma l'intero habitat è soggetto a costanti alluvioni. Nella stagione delle piogge, le piene possono innalzare il livello dell'acqua fino a dieci metri, ridisegnando la geografia della presenza biologica, anche quella provvisoriamente appartata nelle lagune.


Si possono osservare i due tipi di lagune: i piccoli tratti tondeggianti e neri molto vicini al corso del fiume sono le anse separate dal corso attuale; le macchie rosse (caratterizzate da una maggiore presenza biologica) rappresentano le lagune di fondale basso della pianura alluvionale. Tutta l'area verde chiaro ai lati del fiume Ucayali viene sommersa nella stagione delle piogge.

Dove finisce la pianura alluvionale e inizia il basso altipiano, creato dal sollevamento geologico dovuto al movimento della Placca Continentale sud-americana (6-7 cm. l'anno) verso e contro la Placca Oceanica di Nazca che da 23 milioni di anni sta formando la catena delle Ande.
La Placca di Nazca, però, nella sua parte centrale, non si sprofonda sotto la Placca Continentale (come fa nei settori Nord e Sud, provocando la formazione di vulcani)  ma si "subduce", muovendosi praticamente parallela sotto l'altra, alla velocità di 3-4 cm. l'anno.
Questa sub-duzione e il conseguente attrito sollevano la "Sierra de Moa", quelle di Contamana e del Divisor e l'Arco di Fitzcarrald.
Tra i suoli bassi della valle del rio Ucayali e le formazioni in sollevamento tettonico si trova la laguna di Cocha Brava. Questa laguna non viene mai inondata dalle piene dell'Ucayali, come avviene per le altre lagune, forse perché già si trova ad una altezza.
L'abbondante biodiversità ittica e la presenza di numerose altre specie acquatiche potrebbe allora essere il residuo della popolazione acquatica delle lagune basse trovatosi progressivamente isolata dal sollevamento tettonico del suolo della Cocha. Questo significa che la Cocha Brava preserva un patrimonio genetico "antico" rimasto isolato, forse risalente a un milione o più di anni.
Nessun corso d'acqua rifornisce la Cocha, dato che il piccolo rio Buncuya e il torrente Shincuya passano al di fuori dalla sua conca, incassati nei loro corsi tra pareti di arenaria il primo e il blocco di alture la seconda. Tutta la sua acqua le viene dalla pioggia e dalle moltissime sorgenti del blocco di alture che la Cocha bordeggia.  Non ci sono quindi apporti esterni di biodiversità acquatica chiaramente individuabili. Anche se taluni pesci risalgono il corso dei torrenti nella fase delle riproduzione, questo è però reso difficile dall'altitudine.
Le popolazioni ittiche sono comunque abbondanti, non essendo mai state insidiate da presenze antropiche. Inoltre la Cocha Brava è considerata dalla popolazioni locali una sorta di “Santuario” naturale, che ospiterebbe la Madre della Cocha, divinitá tutelare del luogo. La Madre della Cocha prende le forme del gigantesco e terrificante Boa negro (Boa constrictor) che non esita a inseguire e uccidere chi viola il territorio sacro pescando nella laguna o cogliendo la frutta selvatica. Secondo le leggende, questa divinità avrebbe il potere di scatenare improvvisi e violenti temporali su chi si avvicini alla laguna, e in effetti questi temporali sono stati confermati da diversi viaggiatori. Attorno alla laguna crescono alcuni dei pochi aguajales dell'Amazzonia peruviana ancora intatti, foreste composte prevalentemente da Aguaje, o Buriti (Mauritia flexuosa L.), una palma dai frutti ricchi di vitamine, e dalla sviluppata capacità di captare più CO2 di molti alberi, grazie al particolare metabolismo del complesso radicale.
La laguna resta comunque scarsamente avvicinabile, a causa della inaccessibilità e della carenza di strade, circondata com'è da pantani e boschi acquitrinosi a ovest, verso il villaggio della Comunità Nativa di Victor Raul (sulle rive del Rio Buncuya) e le alture aspre e difficili a oriente.
L'unica uscita idrica dal bacino della Cocha, il torrente di Aichira, che non è percorribile da imbarcazioni, perché bloccato da tronchi caduti naturalmente e dalla vegetazione spontanea: uno degli ultimi torrenti non navigati, che con sua stratificazione intatta costituisce un altro unicum di biodiversità che ospita numerose forme di vita.
L'isolamento del blocco laguna-alture è una eccezione perfino in Amazzonia, ormai attraversata da strade e vie navigabili e devastata da interventi umani più o meno selettivi.  
Questa regione, ancora intatta, è però minacciata dall'avanzata del taglio illegale e delle esplorazioni petrolifere.

Il taglio illegale di legname è divenuto organico alla industria esportatrice peruviana, che di trova così pronta alla flessibilità richiesta dal mercato globale, senza l'impaccio dei vincoli di legge. Le attività illegali si profilano così come le più competitive, mettendo fuori gioco la gestione forestale legale. Si calcola che circa il 90% del legname esportato dal Perù sia di origine illegale, mentre l'area intatta di foresta amazzonica è ormai ridotta a un decimo della superficie originaria. Nelle aree di foresta secondaria, le ripetute ondate di prelievo legnoso hanno selettivamente eliminato le specie di valore commerciale, mentre nelle aree già collegate da vie di comunicazione, si estendono allevamenti e piantagioni a monocoltura, che recentemente ha visto una nuova impennata, dovuta all'espansione delle colture energetiche.
Al taglio illegale si è aggiunta in modo sempre più pressante l'estrazione del petrolio. Come in molte aree dell'Amazzonia peruviana, anche nei pressi dalla Cocha Brava, il governo ha assegnato una concessione petrolifera alla compagnia canadese Talisman Energy Inc.


La Talisman Perù, braccio della canadese Talisman Energy, nel 2009 si era resa responsabile di attività potenzialmente in grado di scatenare il conflitto tra gruppi indigeni, trasportando con i propri elicotteri nei lotti 64 Andoas e 103 - Yurimaguas, nativi favorevoli allo sfruttamento petrolifero per affrontare comunità indigene contrarie allo sventramento della foresta.
Con la progressiva cessione dell'Amazzonia a veri e propri feudi estrattivi il governo peruviano mira alla globalizzazione del suo territorio, inserendolo nella rete autostradale infraoceanica, estendendo i progitti di sfruttamento petrolifero e minerario e espandendo le coltivazioni di biocombustibili, mentre le popolazioni amazzoniche sono abbandonate per incoraggiarle a lasciare il territorio allo sviluppo industriale.

Uno sviluppo tutto a danno alla salute dei sistemi forestali e del sistema idrogeologico, ma anche delle condizioni di vita delle Comunità Native, la cui vita è ormai sequestrata dalle attività estrattive.

 

Legno illegale del Perù

Il Perù ha la terza foresta pluviale del mondo, dopo il Brasile e la Repubblica Democratica del Congo. Si tratta di foreste tra le più ricche di biodiversità. Secondo il World Conservation Monitoring Centre, le foreste peruviane ospitano 2.937 specie conosciute di tra anfibi, uccelli, mammiferi e rettili, di cui il 16 per cento sono endemiche (ossia non vivono in altre regioni), e oltre il 7 per cento sono minacciate. Il Perù può inoltre vantare oltre 17 mila specie di piante vascolari, di cui il 31.2 per cento sono endemiche.

Il Perù è stato a lungo risparmiato dalle pratiche distruttive dell'industria del legno, ma nel corso degli ultimi decenni anche nelle sue foreste si è imposta la catena che va dal taglio selettivo, al taglio indiscriminato, fino alla conversione agricola. Secondo la FAO il paese perde tra i 224.000 e i 300.000 ettari di foreste ogni anno.

Il taglio illegale di legname è così divenuto organico alla industria esportatrice peruviana, che di trova così pronta alla flessibilità richiesta dal mercato globale, senza l'impaccio dei vincoli di legge. Le attività illegali si profilano così come le più competitive, mettendo fuori gioco la gestione forestale legale. Secondo le stime dell'Istituto di Ricerca dell'Amazzonia Peruviana (IIAP) il 95% del mogano esportato dal Perù è di origine illegale.

Malgrado le smentite, un dispaccio riservato recentemente pubblicato da Wikileaks, rende noto che lo stesso governo peruviano, stima che una percentuale compresa fra il 70 e il 90% delle sue esportazioni di mogano provengono da operazioni illegali. Secondo il dispaccio confidenziale, il governo peruviano sarebbe al corrente del fatto che il legname illegale viene riciclato usando "documenti falsi, corruzione e abbattimento di alberi al di fuori dei confini delle concessioni".

Ma, malgrado le promesse governative, il traffico di legno illegale è rimasto sostanzialmente impunito.
L'area intatta di foresta amazzonica è ormai ridotta a un decimo della superficie originaria. Nelle aree di foresta secondaria, le ripetute ondate di prelievo legnoso hanno selettivamente eliminato le specie di valore commerciale, mentre nelle aree già collegate da vie di comunicazione, si estendono allevamenti e piantagioni a monocoltura, che recentemente ha visto una nuova impennata, dovuta all'espansione delle colture energetiche.

Perù: l'assalto alle terre indigene

Malgrado la legge riconosca in teoria il diritto delle comunità native ai territori ancestrali, nella prassi gli adempimenti burocratici e i costi di registrazione (inclusi i costi della corruzione dei funzionari incaricati) sono per loro proibitivi. È il caso della Comunitá Nativa Capanahua di Victor Raul, quella il cui villaggio che aveva il diritto di titolarsi due concessioni forestali, non ancora assegnate, all'altra parte del rio Buncuya, circa 15.000 ettari.

Non avendo la possibilità di pagare il difficile percorso burocratico relativo, ha dovuto accettare i servici di un noto boss del legname illegale della vicina cittá di Requena (la capitale provinciale): un operatore privo di scrupoli, i cui lavorator, ridotti in stato di semi-schiavitù, finiscono con l'ammalarsi per le dure condizioni di lavoro nella foresta, contraendo malaria, dengue, dissenteria, o larve parassite. In cambio la comunità ha dovuto cedergli tre anni di potere legale sulla foresta, e adesso ha le mani legate di fronte al saccheggio del territorio appena ottenuto. Con il legname che ha estratto con poderosi “trattori forestali” in pochi mesi, si é già ripagato più volte le spese sostenute, e restituirà alla comunità di Victor Raul un territorio ormai degradato, sia da un punto di vista ambientale che produttivo.

In altri casi le terre indigene sono direttamente occupate da boss del legno. È il caso della  Comunità Nativa di Aypena sempre dei Capanahuas, che si è vista occupare la propria foresta da un altro “noto maderero” di Requena, registrata a suo nome con firme false, e con l'aiuto di funzionari corrotti e perfino di un proprio prestanome indigeno, fatto eleggere capo con la forza. Dopo 10 anni di sfruttamento intensivo del territorio e della sua popolazione, alla comunità nativa no resta nulla, né attrezzatura da lavoro, né una scuola, né un pozzo d'acqua, né una farmacia, men che meno strutture come pannelli solari, barche a motore, impianto radio. Ultima beffa: i territori sono stati ceduti alla compagnia petrolifera canadese Talisman Energy Inc  e tutti gli indennizzi sono andati al boss del legno.

I feudi estrattivi

Non è amata dagli indigeni peruviani, la nuova Legge Forestale. Infatti, il testo in corso di approvazione, esclude esplicitamente i precedenti limiti al numero di parcelle concessionabili nell'ambito forestale (estese  da 5 a 40.000 ettari). Il risultato pratico sarà il rilascio di concessioni forestali su aree totali fino a 1 milione di ettari, mega-concessioni che in assenza dello Stato, sono destinate a diventare veri propri feudi estrattivi, sanzionando una pratica già in corso nel settore forestale e nelle grandi piantagioni di coca, dove il lavoro schiavile continua ad essere prevalente. (in coerenza con la tradizione che fino agli  anni '70 vedeva il fiorente mercato degli schiavi indios nella piazza di Atalaya, nella zona del rio Napo, mentre fiorivano i safari per ricchi turisti con la caccia all' Indio, praticata con cani e battitori,  e l'esercito pacificava i villaggi nativi  con bombardamenti elicotteri mitragliatori).

Lo sviluppo di mega-concessioni rischia di annullare definitivamente il consenso previo e informato delle popolazioni indigene su tutti i nuovi progetti, stabilito dall'ONU e incluso nella costituzione peruviana, ma quasi mai rispettato, come dimostra la violenta rivolta indigena del maggio 2009 nella regione di Bangua.

Che questa sia la strada scelta dal governo, è dalla recente promulgazione del Decreto Supremo nº 1095 (1/09/2010) che prevede e regolarizza l'uso della forza da parte dell' Esercito Peruviano  "la protezione della Società, in difesa dello Stato di Diritto e al fine di assicurare la pace e l'ordine interno nel Territorio Nazionale". Una normativa che lascia presagire una intensificazione del conflitto indigeno, alla luce della violenza già dispiegata dall'esercito durante la precedente rivolta indigena e dell'utilizzo delle cannoniere della Marina per rimuovere i blocchi indigeni alle compagnie petrolifere.

Perù: Amazzonia globalizzata

Nel 2007 il Congresso degli Stati Uniti ha approvato il trattato di libero commercio con il Perù (U.S.-Peru FTA) . L'accordo, che ha visto forti opposizioni nel paese sudamericano, include norme che impongono politiche volte al rispetto dell'ambiente: "Riconoscendo il diritto sovrano di ciascuna parte nel decidere i propri livelli nazionali di protezione ambientale e di priorità ambientali, e di adottare o modificare la propria legislazione ambientale e le policy, entrambe le Parti si impegnano ad assicurare che queste leggi e policy assicurarne e incoraggeranno alti livelli di protezione ambientale, e miglioreranno i rispettivi livelli di protezione ambientale".

Questo articolo del trattato è però stato rapidamente dimenticato dal governo peruviano di Alan Garcia, che ha sistematicamente perseguito l'obiettivo di sradicare la foresta amazzonica, e espandere la globalizzazione del suo territorio, estendendo i progetti petroliferi e minerari (rame, argento, oro), avviando la costruzione di mega-centrali idroelettriche sui versanti montani (con impatti irreversibili sulla biologia fluviale e sull'apporto di humus a valle) e faraoniche e costose deviazioni dell'acqua montana dei fiumi amazzonici verso i bacini asciutti della Costa, allo scopo di irrigare le monocolture (opere già condannate alla salinizzazione), soprattutto per la produzione di biocombustibili.
Nel frattempo la biodiversità è stata ampiamente ceduta ai gruppi farmaceutici e chimici. Con un ultimo colpo di coda, a fine mandato (essendo il nuovo parlamento già stato eletto) il Congresso peruviano ha sancito la liberalizzazione delle sementi transgeniche che potranno quindi essere diffuse nel bioma amazzonico.
I giganti del petrolio e del gas, come la compagnia anglo-francese Perenco e le nord-americane ConocoPhillips e Talisman Energy, hanno potuto impegnare investimenti multimiliardari nella regione. Queste industrie estrattive hanno una pessima fama per quanto riguarda i benefici apportati alla popolazione locale e nella preservazione dell'ambiente nei paesi in via di sviluppo - motivo per il quale i gruppi indigeni stanno chiedendo il diritto di consultazione sulle nuove leggi, riconosciuto a livello internazionale.
Lo svuotamento della Selva amazzonica è stato accompagnato dall'abbandono delle popolazioni, che vedono scomparire ogni funzione regolatrice delle istituzioni (servizio sanitario, sicurezza alimentare, sistema educativo, amministrazione, controllo del territorio, sistema giuridico ecc). Agli indigeni il governo non ha da proporre che un invito ad "adattarsi al modello della globalizzazione, ispirato da autentico umanismo".

Parallelamente, l'Amazzonia è stata sventrata dall'apertura autostrade e canali navigabili verso il Brasile, con lo scopo di unire i due oceani, e a partecipare al “Patto Pan-Pacifico” tra i Paesi della costa Pacifica del Continente (dal Canada al Cile), con i paesi asiatici: Giappone, Corea del Sud, Filippine, Singapore, Australia, e Nuova Zelanda, per fronteggiare la penetrazione commerciale cinese. Il ponte Billinghurst sul fiume Madre de Dios, completerà a breve il collegamento tra Puerto Maldonado, in Brasile e il villaggio di El Triunfo, in Perù, unendo la tratta finale del Corridoio Autostradale Inter-Oceanico tra i due paesi, che aprirà le regioni più remote allo sfruttamento industriale, minacciandone radicalmente gli ecosistemi e la stessa sopravvivenza delle popolazioni native.

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Dall'Amazzonia, un nuovo modello di sviluppo

La Cocha Brava, un'area di foresta incontaminata, una laguna sacra agli indios ricca di animali sconosciuti e di risorse preziose genetiche, un deposito immenso di carbonio. Questi prezioso forziere, insidiato dall'avanzata delle compagnie del taglio illegale e dalle concessioni petrolifere, potrebbe diventare un laboratorio di un modello di sviluppo amazzonico, rispettoso dell'ambiente, gestito dalle genti della regione, e in grado di assicurare una vita dignitosa senza intaccare i tesori dell'umanità. Vediamo come.

L'idea viene dal detentore di una concessione nella zona, Francesco Mantuano, che ha proposto un'alleanza alle comunità indigene della zona. Il suo ragionamento è lineare: il prelievo legale di legname è messo fuori mercato dal dumping sui prezzi praticato dagli estrattori illegali, quindi, invece di rendere la concessione allo Stato perché poco redditizia (e darla di fatto in pasto ai boss del legname) perché non valorizzarne la biodiversità con progetti finalizzati allo studio e alla conservazione?

Sarebbe possibile istituire un centro studi sulla biodiversità che potrebbe apportare vantaggi sia scientifici e sociali, con il coinvolgimento dei nativi locali, i “Capanahuas”, originari dei bacini alti dei rios Buncuya e Tapiche fino alle Sierras di Contamana e del Divisor, successivamente discesi a valle per sfuggire allo sfruttamento del caucciù e ora caduti nello sfruttamento delle imprese del legname. I Capanahuas hanno già fatto sapere che sono disponibili a fornire il loro supporto di esperienza e conoscenze tradizionali, per tornare da liberi nelle loro terre, sfuggendo al giogo dello sfruttamento forestale. I Capanahuas si sono dichiarati disponibili a fare da guardaboschi sia per la Cocha Brava (che considerano sacra) e le alture ancora ricoperte di foresta primaria, ma anche nel loro territorio.

Il progetto della Cocha Brava potrebbe essere sostenuto da un sistema di crediti di carbonio, sia sull'area della concessione che nelle foreste delle comunità indigene, nell'ambito dello schema REDD (Reduced Emissions from Deforestation and Degradation) creato dall'ONU e volto a ridurre le emissioni di gas serra causate dalla deforestazione e dal degrado forestale. quello collaterale di immettere la mia concessione nel mercato volontario dei “Buoni di Carbonio”, unitamente al territorio della locale Comunitá Nativa (unico esempio simile in tutta la Regione Loreto e forse in tutta la Amazzonia peruviana) per riprendere il percorso interrotto nel 2009.
Nel maggio del 2009, sette mesi prima di “Copenaghen 2009”, redassi e iniziai a diffondere, per incarico dell'allora Presidente dei Concessionari Forestali di Loreto (la Regione amazzonica peruviana la cui capitale é Iquitos), un Piano chiamato “Alianza Bosque Vivo” che verteva sulla proposta di riunire in una mega-cooperativa regionale i 250 concessionari forestali Loretani, le Comunità Native della Regione e consorzi provinciali della categoria agraria, con lo scopo di assegnare gran parte della foresta di propria pertinenza alla cattura del carbonio atmosférico, attraverso la sua buona gestione, uniforme e verificabile, da parte di organismi regionali,nazionali ed internazionali; nella speranza di portare a Copenaghen una proposta concreta e già preparata a livello locale: sarebbe stato possibile riunire 10 milioni di ettari di foresta (un terzo dell'Italia) in una struttura organica con gestione, uniforme e verificabile (un fatto assolutamente innovativo nella regione), unendo categorie divise da annosi conflitti, come i concessionari (eredi dei coloni), gli agrari (che per tradizione hanno combattuto la foresta con ogni risorsa, per ridurla in piantagioni) e i Nativi (che all'opposto, si ritengono i “custodi della foresta”, ma non sempre con risultati efficaci). Assieme avrebbero dovuto impegnarsi a catturare carbonio, pur mantenendo i rispettivi diritti alla terra, e ottenendo in cambio sostegno finanziario e supporto tecnico. Il progetto era destinato a sperimentare una autonomia eco-produttiva della Regione Loreto, il cuore dell'Amazzonia peruviana, ma proprio in virtù delle sue potenzialità, è stato avocato a sé dal Governo Regionale di Loreto, e si è disperso nei lunghi tempi della burocrazia, fino ad essere sepolto definitivamente dagli effetti della crisi economica mondiale.

Un altro valore strategico della biodiversità della Cocha Brava, è nel genoma ittico da essa preservato, forse il più antico della regione, e che può rivelarsi una a risorsa alimentare strategica per tutta l'area amazzonica. In particolare il gigantesco pesce Paiche, altrimenti noto col nome brasiliano di Pirarucu (Arapaima gigas), che vive indisturbato nella Cocha Brava, arrivando ai 150 kg. di peso. Questo pesce è essenziale al fabbisogno proteico delle popolazioni amazzoniche, e il suo allevamento potrebbe rappresentare una risorsa essenziale. Finora l'allevamento del Paiche é stato meno che "artigianale", data la impossibilità di distinguerne il sesso; cosa che limita molto la sua riproduzione in cattività e non attrae gli investimenti.

Da poco il centro francese Institut Recherche pour le Développement, assieme all'Instituto Investigaciones Amazonia Peruana di Iquitos (organismo di studi del Ministero dell'Ambiente Peruviano) ha avviato uno studio volto all'individuazione del sesso del Paiche proprio per facilitarne l'allevamento, e il patrimonio genetico dei giganteschi Paiches della Cocha Brava, forse col genoma più antico, potrebbe rivelarsi decisivo. Anche il DOE Joint Genome Institute, del dipartimento energia degli Stati Uniti, è impegnato in un progetto di ricerca e decodifica del genoma delle specie animali nel mondo, e potrebbe contribuire alla ricerca.


Nelle remote aree della foresta Amazzonica, due diversi modelli di sviluppo si stanno scontrando: da una parte la globalizzazione spianata dai grandi collegamenti transoceanici e tappezzata di feudi estrattivi, che si appresta a sfruttare risorse di scarso valore ma di resa a breve termine (legname, petrolio, minerali, piantagioni) a costo di distruggere un valore in commensurato in termini di biodiversità (e assieme ad essa la vita delle popolazioni indigene superstiti), dall'altra lo sviluppo di progetti basati sul territorio e sulle sue specificità, volti a sostenere le economie e le comunità locali proteggendo e valorizzando il patrimonio di biodiversità della foresta amazzonica. Uno dei due modelli prenderà il sopravvento, e i suoi effetti andranno ben aldilà del Bacino Amazzonico, e sono forse destinati a influenzare il destino del pianta Terra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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