Bergamo 13 ottobre 2008 -  Un inconsueto processo si è svolto presso l’aula di Corte d’Assise del Tribunale di Bergamo, organizzato dal Cesvi, in collaborazione con Slow Food Lombardia. Un’accusa, una difesa, il Presidente del Tribunale affiancato da una giuria popolare, testimoni e periti sottoposti a interrogatori incrociati e alla fine la sentenza di innocenza o colpevolezza. Per il processo alla carta i codici del diritto penale sono applicati alla lettera.
«Ecocidio, deforestazione, attentato alle risorse idriche mondiali, assunzione e spaccio di sostanze pericolose». L'arringa non lascia spazio a dubbi: l'industria della carta non fa bene al pianeta. «Per produrre la carta si abbattono foreste, si deviano fiumi e si provocano smottamenti. Per ogni chilo di materiale si sperperano da 10 a 15 litri d’acqua. E ogni bosco cancellato si traduce in un aumento di anidride carbonica - esordisce l'accusa del pm Daniela Rubino. E aggiunge accusa su accusa  - Induzione di incapace allo sperpero, per aver solleticato l’istinto sprecone in ciascuno di noi». 

Massimo Medugno, presidente di Assocarta, ha fatto notare che «la carta è sempre innocente e nessuno più dei produttori è interessato alla buona salute della foreste». Siamo proprio sicuri? Le cose nel mondo sembrano andare diversamente. In Indonesia le foreste primarie continuano ad essere distrutte per fabbricare cellulosa, di cui 100 mila tonnellate l'anno vengono importate dall'Italia. Le foreste primarie della Finlandia vengono inutilmente distrutte per farne carta, pur rappresentando meno del 2,5% delle foreste del paese, e malgrado l'ONU abbia intimato la Finlandia a rispettare i diritti ancestrali degli indigeni Sami che vivono in quelle foreste. In Russia la deforestazione continua in forma illegale, promossa dalla domanda del mercato internazionale della carta. In Canada il taglio a raso minaccia l'habitat del caribù e dell'orso bruno, oltre alla vita degli indiani d'america. E se l'Italia ha incrementato la produzione di carta riciclata, ma continua a importare circa 4 milioni di tonnellate di cellulosa vergine. Intanto le foreste poco a poco scompaiono.
 
Gli estremi per una condanna ci sarebbero tutti. Invece il processo finisce con un'assoluzione "essendo (la carta) indispensabile al nostro vivere civile, alla nostra evoluzione ed alla giusta creazione di un futuro per le generazioni a venire". Insomma, una sentenza assai utilitaristica: ci serve, quindi è innocente.
Ma il fraintendimento non si ferma qui, dato che le piantagioni sono dichiarate "fonte di crescita e sviluppo sostenibile". In alcuni casi questo è certamente vero. Purtroppo non nella maggior parte: numerosi popoli indigeni in Brasile, Indonesia, Cile e perfino nella Lapponia europea avrebbero molte osservazioni da fare su sulla "crescita sostenibile", dovendo contendere la propria terra palmo a palmo con le grandi compagnie del legno e della carta.
 
Insomma, la carta, come tutti i simboli della società del consumo, non si lasciano processare. Con buona pace per le foreste e per chi ci abita. Scherzi a parte, senza dubbio si è trattato di un processo "educativo".
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