Una legge forestale che apre le terre indigene allo sfruttamento industriale rischia di riaprire il conflitto con le comunità indigene, che nella scorsa primavera causò numerose vittime. Già le comunità di Puerto Maldonado, Iquitos e Pucallpa hanno rimandato la legge al mittente. Il rifiuto della legge, espressione dell'accordo di libero scambio con gli Stati Uniti (FTA), rischia di mettere in crisi il trattato stesso.


Secondo la commissione per l'agricoltura del Congresso, i gruppi indigeni rifiutano espressamente l'articolo 62 del progetto di legge forestale, dove questo afferma il diritto del governo di rilasciare concessioni a privati nelle foreste tradizionalmente abitate dalle comunità indie. L'articolo inoltre non è chiaro nel passaggio in cui dovrebbe assicurare che la zona di concessione non deve superare i 40.000 ettari e una impresa non può ottenere più di una concessione (le concessioni sono basate su parcelle che vanno dai tra i 5.000 e i 40.000 ettari). Infatti il divieto all'accumulo delle concessioni è scomparso dall'ultima versione della legge. Questa modifica apre la strada al formarsi di insiemi di concessioni forestali su aree totali fino a un milione di ettari, mega-concessioni che, a fronte della progressiva scomparsa della presenza dello Stato (servizi e garanzia di legalità) dalle zone più remote dell'Amazzonia, sono destinate a diventare veri propri feudi estrattivi, sanzionando una pratica già in corso nel settore forestale e nelle grandi piantagioni di coca, dove il lavoro schiavile continua ad essere prevalente.

Il Perù ospita la seconda foresta pluviale del Sud America, estesa su una superficie di 68,7 milioni di ettari, la più vasta area di Amazzonia dopo quella ospitata dal Brasile, e la nona area forestale del pianeta. Il 94 per cento delle foreste del paese fanno parte del bioma amazzonico, mentre il 4,6 per cento è foresta costiera e l'1 per cento foresta di altopiano.

 

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