"Dobbiamo agire in fretta... è l'ultima occasione prima di perdere definitivamente il controllo". E' l'appello disperato di Sheila Watt-Cloutier, del Consiglio Circumpolare degli esquimesi Inuit, al Summit Globale dei Popoli Indigeni sul Cambiamento Climatico che si tiene a Anchorage, in  Alaska. Gli Inuit stanno perdendo il loro ambiente, che scompare poco a poco assieme al ritiro dei ghiacci sulla calotta artica.
Per millenni le comunità indigene hanno vissuto in armonia con le foreste che li ospitavano. Ora i popoli indigeni si attivano per affrontare il cambiamento climatico, organizzando reti di prevenzione degli incendi, come in Australia e in Amazzonia. In Indonesia e Papua Nuova Guinea, impiegano diverse combinazioni di foresta e orti, e le difendono dalle grandi imprese della carta e dell'olio di palma. In Honduras il popolo Quezungal, per proteggere i campi dagli uragani, vi pianta alberi che assicurano solidità al terreno. In Africa, i Pigmei Baka e Bambendzele (rispettivamente in Camerun e Congo) adottano strategie d raccolta in grado di fronteggiare gli incendi causati dal cambiamento del clima. In Belize lavorano al recupero delle forme tradizionali di coltivazione, più compatibili con l'ambiente. A Bali sono impegnati nella riabilitazione delle mangrovie. Nella gran parte dei casi questi progetti o strategie di adattamento sono a costo zero: mentre il business del cambiamento climatico fa fluire miliardi di dollari in progetti di dubbio valore scientifico, ben poco sostegno va alle comunità indigene, che da secoli operano con successo sul campo.
 
"Conosciamo il nostro territorio e le sue interazioni meglio di tanti altri, e sappiamo come adattare un progetto affinché funzioni davvero, ma spesso non veniamo neppure consultati" dichiara Gunn-Britt Retter, leader degli indigeni finlandesi Saami, che da decenni difendono le foreste artiche dall'industria della carta e dalla sua potente lobby. 
 
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