Un team di archeologi alla scoperta delle specie vegetali della foresta pluviale. Come? Analizzando migliaia di ceramiche Maya e catalogando gli alberi giganteschi e gli spettacolari fiori riprodotti per oltre in millennio, prima che la civiltà Maya scomparisse. La ricerca, guidata dall'archeologo Charles Zidar e dal botanico Wayne Elisens (rispettivamente del Missouri Botanical Garden di St Louis, e della University of Oklahoma) è stata publicata dal Journal Economic Botany.
I Maya hanno abitato le foreste pluviale, utilizzandone per anni le ricchezze botaniche. Molte piante avevano usi medicinali o alimentari, e erano entrate a far parte della vita quotidiana. Le piante tradizionalmente utilizzate dai Maya nei loro rituali e illustrate nelle sculture e dei dipinti, dai quali è ancora possibile rilevare le specie impiegate.
Il progetto si estende in tutta la zona Maya, dal Belize, al Guatemala al Messico. Sono state esaminate 2.500 ceramiche del periodo classico Maya, datate tra il 250 AC e il 900 DC.
"Sono rimasto stupito dalla incredibile varietà di della famiglia bombacoids delle piante raffigurate nelle ceramiche Maya" spiega Zidar. L'albero di cebia (Ceiba pentandra) noto come albero della seta, o Kapok la faceva da padrone nell'iconografia Maya. Questo albero, della famiglia Bombacaceae (Malvaceae secondo la classificazione APG) cresce oltre i 70 metri di altezza. Considerato il "primo albero" o albero del mondo, la sua chioma collegava il cielo alla terra. Ancora oggi gli indigeni rispettano questo albero, e evitano in ogni modo di danneggiarlo. Sorge però spontanea una domanda: perché non coinvolgere le comunità indigene che hanno preservato molte delle conoscienze dei Maya? Molte delle piante dei Maya sono ancora usate nella medicina tradizionale. Perché non coinvolgere gli attori? "I Maya hanno vissuto in queste foreste e hanno utilizzato le loro proprietà medicimali per millenni, noi stiamo appena cominciando ad apprendere i loro segreti - ammette Zidar - Questa ricerca ha già suscitato l'interesse di alcune imprese farmaceutiche interessate all'estrazione di alcaloidi dalle piante usate dagli antichi Maya". Ecco che dietro l'archeologia botanica rispunta l'ombra della bio-pirateria: coinvolgere le comunità che già usano le piante medicinali significa non potersi impossessare del brevetto. Ma l'archeologia potrebbe permettere di bypassare il sapere indigeno, per impossessarsi dei suoi segreti.