La recente proposta da parte della Fao di sovvenzionare le piantagioni come vettore di un new deal ambientale, non è stata apprezzata dai popoli indigeni e dalle associazioni ambientaliste. "Le piantagioni non sono foreste - ha commentato Sandy Gauntlett della  Pacific Indigenous Peoples Environment Coalition - L'unica cosa che hanno in comune e' la presenza di alberi. Una piantagione è un sistema agricolo altamente uniforme, che solitamente sostituisce le foreste, ecosistemi ricchi di biodiversità. Malgrado ciò le grandi istituzioni come la FAO e la Banca Mondiale continuano a definire le piantagioni come foreste".
L'impatto delle piantagioni a monocoltura su larga scala sull'ambiente e sulle comunità locali sono documentati da tempo. Tra essi il dissesto delle risorse idriche, il deterioramento dei corsi d'acqua, l'inquinamento delle falde acquifere e dell'atmosfera provocato da pesticidi e fertilizzanti, l'espulsione di intere comunità dalle proprio terre ancestrali, la violazione di diritti umani, ambientali e sociali, soprattutto ai danni delle donne, il deterioramento della diversità culturale, la diffusione della violenza, la perdita di biodiversità.
 
Friends of the Earth International e Global Forest Coalition hanno richiesto alla Fao di fermare la promozione delle piantagioni e attivarsi invece per fermare la distruzione e il degrado delle foreste. Circa il 70 per cento della biodiversità terrestre vive nelle foreste, che svolgono un ruolo essenziale nell'assicurare rifugio, protezione, risorse e valori spirituali a milioni di persone. I governi dovrebbero innanzitutto riconoscere i diritti dei popoli indigeni e delle comunità di foresta, combattere il taglio illegale e fermare la conversione delle foreste naturali in piantagioni.
 
Friends of the Earth e il World Rainforest Movement hanno presentato alla Fao diversi casi studio sull'effetto delle piantagioni industriali, illustrati anche in un video. Proprio in questi mesi le donne nigeriane della riserva forestale di Iguóbazuwa si oppongono alla creazione di una piantagione di gomma nel cuore della foresta e nei campi circostanti, da parte della multinazionale francese Michelin. "La Michelin è arrivata con i bulldozer e ha distrutto i miei campi - dice una di loro - e sarebbero passati sul mio corpo se avessi tentato di fermarli".  In Brasile meridionale le piantagioni di eucalipto e pino per la produzione di carta continuano a minacciare l'ambiente e le comunità locali. I giganti mondiali della carta come la scandinava Stora Enso, o la brasiliana Aracruz, hanno creato quello che i contadini locali chiamano un "deserto verde". Anche qui, denunciano, i danni ambientali, l'erosione del suolo e l'esaurimento e gli scompensi alla rete idrica, sono accompagnati da costanti violazioni dei diritti umani, e da violenze sessuali. Diverso scenario, stessi problemi in Papua Nuova Guinea, dove l'espansione delle piantagioni di palma da olio abbatte foreste millenarie abitate per secoli dalle comunità native.

Le comunità di Malesia, Indonesia e Papua Nuova Guinea tentano invano di arrestare la progressiva espansione delle piantagioni di palma da olio e dell'acacia per la carta. In Nigeria, Camerun, Liberia, Swaziland e Sud Africa avanzano le piantagioni di gomma, legno da cellulosa e palma da olio. In  Brasile, Argentina, Cile, Ecuador e Uruguay si espandono i deserti verdi di eucalipto e pino, mentre Colombia e Venezuela vede ancora l'espansione della palma da olio.

La nuova proposta di proteggere le foreste per stabilizzare il clima globale, affermatasi nell'ambito della convenzione di Kyoto (Reduced Emissions from Deforestation in Developing Countries - REDD) , rischia di divenire un boomerang, qualora dovesse include tra le "foreste" sovvenzionabili anche le piantagioni.

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