Il disboscamento illegale sta distruggendo le foreste pluviali equatoriali del Borneo indonesiano, portando l’isola, un tempo nota come “il polmone dell’Asia”, sull’orlo di una catastrofe ecologica. Non solo è stato tagliato il 95 per cento delle foreste: quasi il 60 per cento del parco nazionale è andato incontro alla stessa sorte. È quanto sostiene una relazione di Lisa M. Curran, della Yale School of Forestry & Environmental Studies, pubblicata questa settimana su Science. Il legname viene trasformato in compensato ed esportato in altre regioni dell’Asia. Viene anche usato nella costruzione di mobili da immettere nei mercati giapponese, americano ed europeo. L’antica pianta vanto dell’isola di Kalimantan, il meranti (altrimenti noto come mogano filippino) viene utilizzato nei parquet e nelle rifiniture delle automobili di lusso.

La crisi delle specie

Se l’attuale ritmo di disboscamento si mantiene costante – spiega il rapporto – Kalimantan, che copre un’area grande quasi quanto il Texas, resterà completamente orfana delle sue foreste pluviali nell’arco dei prossimi tre anni. Ciò avrà effetti devastanti sulla fauna locale, sulla popolazione autoctona e sul clima della regione. Animali come l’orso della Malesia, il maiale barbuto e l’orango sono ormai specie a rischio di estinzione. La ricerca, durata dal 1999 a settembre del 2003, ha combinato osservazioni aeree e satellitari con dati raccolti dai sistemi di mappatura geografica e dai sensori a controllo remoto. «Quel che resta delle foreste è troppo poco e troppo frammentario per garantire la sopravvivenza delle specie che ne dipendono», sostiene la Curran, direttrice del Tropical Resources Institute della Yale University. «Per la prima volta vediamo grandi mammiferi selvatici morire di fame».
A Kalimantan esistono oltre 420 specie diverse di uccelli e 222 di mammiferi, la metà delle quali può sopravvivere solo nell’habitat delle foreste pluviali. I Dyak, gli indigeni del Borneo, dipendono dalla carne di questi animali come fonte primaria di proteine. «La fauna è chiaramente in crisi», continua la ricercatrice. «In un paio d’anni, la popolazione di oranghi del parco nazionale di Gunung Palung, nella Kalimantan occidentale, sarà già ridotta di un terzo». Secondo la Curran, al ritmo attuale, molte delle specie caratteristiche delle foreste pluviali si estingueranno entro una decina d’anni. «Non potremo accorgercene finché non si supererà il limite. Ma questa soglia è molto vicina e una volta che l’avremo oltrepassata sarà ormai impossibile arrestare il fenomeno».
 
La domanda di legname
La rapida diffusione delle piantagioni di olio di palma, aumentate di quaranta volte dal 1992 a oggi, aggrava ulteriormente la situazione: vaste aree di foresta pluviale sono state disboscate per fare spazio ai raccolti, e queste piantagioni ostacolano le migrazioni animali. I cicli di vita dei boschi di Kalimantan interagiscono con El Niño. La deforestazione trasforma questo evento da opportunità rigenerativa a catastrofe e distruzione. Man mano che gli alberi scompaiono, i periodi di siccità diventano più gravi e frequenti, innescando spessissimo pericolosi incendi. Il Borneo è la prima regione a venire colpita dall’insorgere di El Niño. Gli incendi da esso causati nel Borneo e in Brasile nel 1997 e 1998 hanno prodotto più emissioni di anidride carbonica che tutti gli avanposti industriali dell’Europa occidentale messi insieme.
La progressiva scomparsa delle foreste pluviali può avere diverse spiegazioni, tra cui la trascuratezza delle troppo decentralizzate istituzioni governative e l’opportunismo delle comunità locali. Ma secondo la Curran il motivo principale è l’eccessiva domanda di legname in ambito internazionale, a cui è impossibile far fronte per vie legali. A tutto ciò si aggiunge il regime di corruzione iniziato durante l’ex dittatura di Suharto e mai finito. Negli ultimi vent’anni, le quantità di legname raccolte nel Borneo hanno superato di gran lunga le esportazioni di legni tropicali dall’Africa e dall’America latina. A metà degli anni Novanta si parlava di un giro d’affari da nove miliardi di dollari all’anno. Ora non siamo più a quei livelli, ma oltre il 90 per cento della produzione di legni indonesiani è illegale.
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