Santiago del Cile, 27 febbraio 2009 - Per anni le preziose foreste costiere del Cile sono state abbattute per rifornire di trucioli l'industria cartaria giapponese. Poi è stata la caccia più o meno illegale al prezioso legno dell'alerce a minacciare una delle ultime foreste pluviali temperate del pianeta. Ora le foreste cilene potrebbero tornare a far trucioli, questa volta per soddisfare la crescente fame di energia.
Una legge approvata nel 2008 impone al paese di spostare un 5 per cento dell'energia prodotta verso fonti alternative, ma tra queste le biomasse fanno la parte del leone. Un consorzio, Bioenercel, è stato appositamente creato per studiare la produzione di biocombustibili di seconda generazione, originati dalla lignina. I costi di questi combustibili risultano ancora poco competitivi, ma potrebbero diventarlo a fronte di una generalizzata crescita dei prezzi del petrolio.
Mentre dall'altro lato delle Ande, il cerrado argentino è eroso dall'avanzata del mail e della soia, alimentate dalla crescita della domanda internazionale dei biocarburanti, in Cile si pianifica una nuova ondata di piantagioni di alberi a rapida crescita per la fabbricazione di combustibili di seconda generazione. Gli imprenditori forestali salutano con entusiasmo l'ipotesi di una crescita della domanda di fibre legnose, ma secondo gli esperti dell'Action Network for Social and Environmental Justice, le piantagioni presentano rischi anche più alti delle colture energetiche di prima generazione. Gli alberi a rapida crescita erodono rapidamente il terreno e assorbono quantità eccessive di acqua e di nutrienti, creando dissesto chimico e idrogeologico. Anche le comunità indigene hanno espresso il timore di un ritorno ai tempi di conflitto tra le imprese della carta e le comunità forestali. Dietro al milionario consorzio Bioenercel, infatti, fanno capolino le facce di sempre: le tre grandi multinazionali cilene del legno e della carta: Arauco, Masisa e CMPC.