Rio de Janeiro, 25 Febbraio 2003 -  In Brasile si trova la maggior estensione di foreste tropicali del mondo, tanto in termini quantitativi quanto per la diversità di ecosistemi basati in fito-fisionomie forestali.
Nel paese restano ancor oggi 5,5 milioni di chilometri quadrati di foreste vergini, due terzi dei quali occupati da foreste e savane amazzoniche e il resto, in ordine, da savane del centro-ovest, dalla Foresta Atlantica, dalla Caatinga (foresta secca del Nordest) e da altri ecosistemi associati a quelli citati. Inoltre, esistono circa 64 mila chilometri quadrati di piantagioni forestali, soprattutto per la produzione di carta, cellulosa, carbone, legno e gomma, concentrate soprattutto negli stati di Espírito Santo, Minas Gerais, São Paulo, Paraná e Bahia.
La rilevanza della questione foreste in Brasile (sia per quanto riguarda la loro protezione sia per i pericoli che le minacciano) può essere riassunta con alcuni dati inequivoci: si tratta del paese che, grazie soprattutto agli ecosistemi forestali, possiede la più grande biodiversità del mondo; è il più grande produttore e al tempo stesso il più grande consumatore di legnami tropicali; è il più grande produttore e consumatore di energia elettrica prodotta dalle risorse idriche associate agli ecosistemi forestali; è, infine, il più grande detentore di risorse minerarie localizzate in ecosistemi forestali.
Il fenomeno della deforestazione, seppur con variazioni regionali e/o annuali, continua a caratterizzare il quadro forestale del paese. Nel caso della Foresta Atlantica gli indici annuali di deforestazione tendono a diminuire, ma ciò è dovuto al fatto che ormai resta appena il 7,3% dell'estensione originale del bioma. Nel caso delle foreste amazzoniche la deforestazione media degli ultimi cinque anni si attesta intorno ai 18 mila chilometri quadrati per anno, con una perdita accumulata di circa il 16% della copertura vegetale originale.
L'analisi evolutiva dei dati degli ultimi anni suggerisce alcune considerazioni iniziali dai punti di vista spaziale e temporale, tenendo presente che si conferma l'esistenza di varie Amazzonie e sub-Amazzonie, a cui daremo per comodità dei nomignoli:
(a) il "nocciolo duro forestale", che comprende al centro il grande blocco dello stato di Amazonas, a nord-est il segmento boreale dello stato del Pará e lo stato dell'Amapá e a sud i due terzi occidentali dell'Acre; in questa regione i ritmi di deforestazione sono relativamente bassi, sotto lo 0.3% all'anno, in funzione della scarsa pressione economica e infra-strutturale.
(b) "l'Amazzonia ex-forestale, o di occupazione consolidata" , rappresentata da quelle regioni di frontiera ove maggiore è la presenza di insediamenti umani, ove la terra costa di più, sono presenti più infrastruture, ma anche dove la scarsezza di risorse forestali residue è ormai avvertita in modo grave, specialmente per i fenomeni di erosione, di mancata protezione delle fonti d'acqua potabile, etc.; tali zone corrispondono a buona parte del sud-est del Pará, gran parte dello stato di Rondônia, due grosse aree nel nord del Mato Grosso intorno a Sinop e Juina, praticamente tutta la parte amazzonica di Maranhão e Tocantins, la valle del Rio Acre (estremo est dello stato omonimo). Nell'Amazzonia ex-forestale gli indici di deforestazione sono in calo, più o meno netto, per la progressiva mancanza di risorsa-base. In genere, da indici di deforestazione superiori all'1% nel decennio passato si arriva agli attuali 0.5 - 0.7%.
(c) "le nuove frontiere", cioè quelle zone che dispongono ancora di risorsa forestale considerevole, ma che sono oggetto di programmi più intensi di colonizzazione o migrazione più o meno spontanea; tali zone comprendono il sud-ovest del Pará, il resto del nord del Mato Grosso, i bordi di Rondonia, il corridoio centrale di Roraima (meno le aree indigene); qui gli indici di deforestazione superano l'1.5% l'anno.
L'analisi della più recente dinamica della deforestazione richiede l'introduzione di due elementi importanti e relativamente nuovi rispetto alle analisi classiche; tali elementi, che riguardano rispettivamente i piccoli e i grandi produttori, hanno modificato lo scenario di diverse sub-regioni amazzoniche nella seconda metà del decennio scorso.

A partire dal 1995, parte dell'Amazzonia sta passando per il secondo maggior processo di colonizzazione nella storia del pianeta (dopo la Transmigrasi dell'ex presidente Suharto in Indonesia): la riforma agraria.
È importante tener presente che la riforma agraria è basata in buona parte su di un grande processo di privatizzazione di terra, dal momento che l'INCRA (organo federale adibito allo scopo) era divenuto, con una norma del regime militare che "federalizzava" cento chilometri ai due lati di strade esistenti o semplicemente progettate, il più grande proprietario di terra del mondo. In termini di terreno, la riforma agraria brasiliana è stata sinora realizzata per il 62% in Amazzonia, con circa 50 mila famiglie all'anno che hanno ricevuto appezzamenti che variano dai 40 ai 120 ettari per famiglia (cento ettari è la dimensione più frequente).
La riforma agraria riflette una necessità e priorità sociale e politica nazionale sulla quale concordano praticamente tutte le parti politiche. Al momento, è stata realizzata dando priorità alla distribuzione di terra, piuttosto che alla qualità della produzione del colono, del suo inserimento nel mercato, dell'uso di tecnologia e conoscenza appropriate, di infrastrutture, di credito adeguato. Pertanto il risultato è che al colono, come condizione di sopravvivenza, non resta altra possibilità che eliminare gli alberi - spesso grazie all'uso del fuoco - sia per una capitalizzazione immediata (vendita di legname a basso costo) sia per l'esercizio di attività agropastorili di bassissima intensità e produttività.
Dal 1998 il governo federale – nell'impossibilità di frenare e controllare il fenomeno - ha legalizzato automaticamente una deforestazione massima di tre ettari all'anno per colono, permettendo la vendita "presunta" di un volume di legname equivalente a quello ricavabile dai tre ettari. Nello sforzo di limitare e trovare un accordo con i sindacati dei piccoli agricoltori, si è finiti per dare potenziale copertura legale (anche se in effetti ciò non corrisponde al vero volume estratto) a circa 60 milioni di metri cubi di legname per anno, ossia il risultato di 3 ettari x 20 metri cubi per ettaro x 1 milione di famiglie di piccoli agricoltori.
L'attuale produzione effettiva di legname della regione è della metà: 30 milioni di metri cubi. In tali condizioni, appare evidente come la via più semplice per “legalizzare” il legname è vincolare la sua origine ai piccoli agricoltori. In tal modo tutte le rigorose e sofisticate norme adottate per il controllo dell'attività di produzione forestale possono essere facilmente raggirate. Anzi, il paradosso è che oggi è molto più difficile restare nella legalità per coloro che intendono realizzare una gestione forestale sostenibile che non per coloro che si riforniscono dai coloni. E, ovviamente, tale rifornimento è anche molto più economico, circa il 30% del costo di una gestione sostenibile.
Il secondo elemento di novità della seconda metà del decennio scorso viene dall'avanzata della coltura della soia, dalle zone di savana del centro-sud del Mato Grosso - dove si era attestata negli anni '80 - verso una serie di aree amazzoniche, nel nord di questo stato ma anche in Pará, Roraima, Rondonia e nell’estremo sud dello stato di Amazonas. L'enorme crescita del mercato mondiale di questo prodotto, con prezzi eccellenti, l'esistenza di significativi investitori in Brasile (Blairo Maggi, oggi neo-eletto governatore di Mato Grosso, è il più grande proprietario di terreni di produzione di soia del mondo) e il quadro di colonizzazione sopra descritto costituiscono le tre principali ragioni per l'entrata della soia in Amazzonia. La soia necessita – per l'investimento in meccanizzazione – di proprietà di almeno 5 mila ettari, oltre a macchinari, fertilizzanti e diserbanti. Tutto ciò non è alla portata dei coloni. Perciò i grandi proprietari attendono che i coloni abbiano completato l'opera di deforestazione e poioffrono loro di acquistare i terreni per ricomporre proprietà più grandi – col fine di realizzare colture di soia. Si tratta di un effetto perverso di riconcentrazione fondiaria certamente non previsto nel disegno di riforma agraria. L’affermazione più comune dei grandi produttori di soia è: “Non siamo noi a deforestare, sono i piccoli agricoltori". In tal senso, ironia della sorte, dicono una quasi verità, che ovviamente non tiene conto del fatto che chi effettivamente ottiene il beneficio di quell'attività sono proprio i grandi proprietari. Quanto ai piccoli coloni, il loro destino è quello di migrare verso zone più lontane cercando di ottenere – in nome di un figlio, di un parente o magari cambiando di nome – un altro appezzamento dove ripetere il processo per sopravvivere altri 4-5 anni.
La soia (così come, in scala ridotta, il cotone e il riso) rappresenta pertanto un forte elemento induttore, di origine economica, che si innesta su un elemento sociale col quale stabilisce un rapporto di interdipendenza e sinergia. È ovvio che tale elemento induttore non avrebbe gli effetti descritti in assenza di una politica – diretta o indiretta – di sussidio e incentivo, ed in particolare la costruzione di opere infrastrutturali di trasporto – come strade e idrovie – che rendono competitiva la produzione di soia.
È fondamentale evitare di commettere uno dei più tipici errori di interpretazione commessi da molti analisti e critici, anche fra i più qualificati, che tendono a considerare analisi come quella qui presentata come la nuova verità circa la deforestazione o comunque una tendenza generale e assoluta nella dinamica socio-economica regionale. Tale generalizzazione corrisponde ad una grave incapacità di comprendere la complessità e diversità dello scenario amazzonico, che per l'appunto rifugge dalle generalizzazioni. È pertanto necessario conoscere e riconoscere tali elementi di novità, ma senza ritenere che essi vengano a sostituire di colpo, per esempio, altre problematiche preesistenti e conosciute (come quella degli allevamenti o dell'estrazione minerale) o meno conosciute (attività economiche in foreste allagate, invasioni "politiche" di certe proprietà da parte del Movimento Senza Terra, creazione di nuovi municipi per ragioni elettorali o speculative, etc.). Al contrario, è importante aver presente la necessità di relativizzare qualsiasi tendenza, di analizzarla nel suo contesto locale e sub-regionale (quasi sempre diverso dagli altri contigui) nonchè temporale, per la rapida evoluzione delle dinamiche di occupazione dello spazio geografico in Amazzonia. In genere, nel momento in cui un'analisi è compiuta e suffragata da studi finalmente conclusivi, il fenomeno è già in fase di evoluzione o regressione. 
 

Joomla templates by a4joomla