Le forze di sicurezza Indonesiane forniscono protezione alle imprese nazionali e transnazionali che operano nella provincia indonesiana della Papua Occidentale e si rendono responsabili di gravi violazioni di diritti umani. Lo denuncia Amnesty International, secondo cui l'estrazione mineraria e la l'inustria del legnohanno provocato danni ambientali e violato i diritti delle popolazioni native. Quando che rivendicano i diritti sulle terre ancestrali sono poi accusati di essere ribelli o separatisti.
Un rapporto dell'ICG sostiene che ci sia una stretta connessione tra l'estrazione di risorse naturali, gli interessi finanziari dell'esercito e l'attuale conflitto nella West Papua. Il Wwf ha espresso preoccupazione nei confronti del previsto aumento delle piantagioni di palma da olio nel corso dei prossimi anni, che potrebbe incrementare il già alto tasso di deforestazione in Indonesia.
Amnesty International ha denunciato le violazioni di diritti umani connesse alle attività economiche nella West Papua. L'organizzazione ha chiesto al governo di Jakarta e alle multinazionali che conducono attività economiche nella West Papua di rispettare e tutelare i diritti umani. Gli incidenti come le recenti uccisioni del personale della miniera di oro e rame della multinazionale Statunitense Freeport da parte di gruppi armati non identificati, assieme alle accuse secondo cui i membri dell'esercito Indonesiano (che forniscono protezione militare alle multinazionali) sono responsabili delle violazioni di diritti umani contro le popolazioni locali, sottolineano la difficoltà di garantire la sicurezza delle operazioni commerciali e, allo stesso tempo, di rispettare e proteggere i diritti umani di coloro che vivono vicino alle zone in cui tali operazioni commerciali vengono portate avanti.
La Papua è la provincia Indonesiana più estesa e tra le più ricche di risorse naturali. Le sue ricchezze minerarie e le foreste tropicali che, assieme a quelle della Papua Nuova Guinea, rappresentano la terza foresta pluviale più estesa del pianeta (secondo il WWF la foresta dell'intera isola copre 36 milioni di ettari), hanno attirato aziende nazionali e multinazionali. Vasti tratti di foresta sono stati concessi a compagnie soprattutto Indonesiane. La miniera di rame ed oro della Freeport è una delle maggiori al mondo. Anche le principali multinazionali petrolifere operano nella regione.
Lo sfruttamento delle risorse naturali è da molto tempo una causa di tensione tra i Papuani e il governo centrale. L'estrazione mineraria e la deforestazione hanno provocato danni ambientali, leso i diritti delle popolazioni indigene, danneggiato i loro mezzi di sostentamento, i loro costumi e le loro tradizioni. Ciò ha avuto gravi conseguenze sociali, economiche e culturali, come lo spostamento forzato delle popolazioni e la perdita dei mezzi di sostentamento. Le forze di sicurezza si sono rese responsabili di gravi violazioni dei diritti umani che hanno aggravato le tensioni e alimentato la domanda di indipendenza dall'Indonesia.
L'enorme operazione di estrazione mineraria della Freeport è particolarmente controversa. I gruppi che rappresentano le comunità locali, e le ONG nazionali ed internazionali hanno accusato la multinazionale Statunitense che opera nella miniera di violare il diritto alla sussistenza, di ignorare i diritti culturali delle popolazioni indigene, di costringere le comunità a spostarsi altrove e di distruggere l'ambiente. A metà degli anni '90, le forze di sicurezza Indonesiane che operavano intorno alla miniera, in qualche caso usando le attrezzature della miniera stessa, avevano compiuto esecuzioni extra-giudiziarie, "scomparse", torture, arresti arbitrari e altre violazioni di diritti umani.
Lo status politico della Papua era contestato già prima dell'inizio delle operazioni commerciali. La regione era rimasta una colonia Olandese dopo che l'Indonesia era divenuta indipendente nel 1949. Nel 1962, con un accordo mediato dagli USA, il governo del territorio fu trasferito temporaneamente alle Nazioni Unite prima di essere ceduto all'Indonesia nel Maggio 1963. L'accordo prevedeva un referendum monitorato dall'ONU per confermare o respingere l'annessione all'Indonesia. La votazione si svolse nel 1969, confermando l'annessione. Tuttavia, il risultato è considerato fraudolento da gran parte dei Papuani che erano rappresentati nello scrutinio da 1.025 individui scelti dal governo Indonesiano.
Il movimento di indipendenza esiste dalla fine degli anni '60: il Free Papua Movement (OPM) e il suo braccio armato (TPN) che consiste in piccoli gruppi armati con frecce e altre armi semplici. Il gruppo ha compiuto attacchi sporadici soprattutto contro l'esercito e le forze di polizia, sebbene i civili siano stati talvolta vittime di abusi come uccisioni o sequestri. Le operazioni di contro insurrezione da parte delle forze di sicurezza Indonesiane contro il movimento sono sfociate in gravi violazioni di diritti umani, come esecuzioni extra-giudiziarie, "scomparse", tortura e detenzioni arbitrarie.
Dopo le dimissioni dell'ex presidente Suharto nel 1998 e la conseguente rimozione delle restrizioni sulla libertà di parola e associazione nel paese, un diffuso movimento civile indipendentista è cresciuto in Papua, con strutture formali e leader identificabili. La risposta politica del governo alla crescita del movimento è stata inconsistente, sebbene siano stati fatti dei tentativi di dialogo con gli attivisti civili che chiedono l'indipendenza. Tuttavia, la repressione del movimento, talvolta contemporaneamente a tali aperture di dialogo, è continuata.
Gli attivisti indipendentisti, sia armati che non-violenti, sono stati oggetto di abusi, come l'esecuzione extra giudiziaria di Theyes H. Elian, presidente del gruppo civile per l'indipendenza PDP. È stato rapito e ucciso nella periferia di Jayapura. Il comandante delle Forze Speciali chiamate Kopassus e 11 suoi subordinati sono i principali sospettati, ma nessuno ha subito processi giudiziari finora. Nel 2001, i 5 leader del PDP erano stati accusati di "ribellione e diffusione dell'odio nei confronti del governo", accuse solitamente usate per arrestare gli attivisti politici pacifici.
Il rapporto di Amnesty documenta le violazioni avvenute durante un'operazione di polizia nel distretto di Wasior dall'Aprile all'Ottobre 2001. L'operazione, la più massiccia dal 1996, era una risposta all'uccisione di 9 persone, compresi 5 agenti di polizia, in due attacchi da parte di gruppi armati non identificati contro alcune multinazionali del legno avvenuti tra il Marzo e il Giugno 2001. Come nell'attacco nella miniera della Freeport (citato all'inizio di questo articolo, ndt), le autorità Indonesiane hanno accusato il gruppo armato di opposizione, il Free Papua Movement (OPM), di essere il responsabile. Tuttavia, in assenza di un'indagine ci sono ancora dei dubbi sul coinvolgimento dell'OPM.
Il distretto di Wasior si trova nella Papua Nord Orientale. Le multinazionali del legno sono arrivate nell'area agli inizi degli anni '90. Come è successo in altre parti della provincia e in tutto il resto dell'Indonesia, le concessioni forestali sono state negoziate tra le aziende e il governo centrale, senza alcuna significativa consultazione e partecipazione delle comunità locali interessate. I risarcimenti per la perdita delle terre e dei mezzi di sostentamento sono stati bassi. Risarcimenti inadeguati, assieme al grave impatto della deforestazione sull'ambiente, sui mezzi di sostentamento e sulle tradizioni locali è causa di dispute tra le popolazioni locali e le multinazionali.
Le proteste delle popolazioni di Wasior contro le aziende del legno sono state rappresentate dal Consiglio Tribale Wondama (DPMA). Tra le numerose dispute in cui il DPMA è stato coinvolto, una era contro la compagnia PT Darma Mukti Persada (PT DMP), che ha sede nel villaggio di Wombu, nel distretto di Wasior. La disputa è andata avanti per diversi anni, ed era giunta a un vicolo cieco all'inizio del 2001. Nel Marzo dello stesso anno, una protesta delle popolazioni locali bloccò la strada che portava alla sede della PT DMP. Tre giorni dopo, la base fu attaccata da un gruppo armato non identificato. Nell'attacco furono uccisi tre dipendenti dell'azienda.
Rimane poco chiaro se vi sia un legame tra l'attacco e la protesta. Tuttavia, le autorità Indonesiane accusarono immediatamente il movimento per l'indipendenza OPM. I membri del Consiglio Tribale furono anch'essi accusati di aver appoggiato il piano. Nei giorni seguenti, la brigata mobile Brimob (un'unità paramilitare della Polizia della Rep. Indonesiana usata frequentemente per fornire protezione alle compagnie commerciali e per le operazioni di contro insurrezione in Aceh e, in passato, a Timor Est) cominciò le sue operazioni militari a Wombu e nei villaggi vicini. Secondo le organizzazioni locali che difendono i diritti umani, le forze di sicurezza compirono atti che terrificarono le popolazioni causando la loro fuga nelle foreste. I membri del Consiglio Tribale si nascosero per evitare di essere catturati.
Nel Giugno seguente, mentre queste operazioni andavano avanti, si verificò un altro attacco contro un'altra compagnia del legno, la CV VPP. Cinque membri del Brimob, che facevano parte di una unità che forniva protezione armata per la compagnia, e un dipendente della compagnia stessa, rimasero uccisi nell'attacco. L'identità degli attentatori non è chiara. Dopo questo attacco, le operazioni militari si intensificarono e furono allargate anche ad altri distretti. Fu impedito l'accesso degli stranieri all'area (tra questi c'erano dei difensori di diritti umani). Seguirono forme di punizione collettiva come la distruzione di case e dei mezzi di sostentamento: alcune organizzazioni stimano che furono distrutte 55 case nelle operazioni.
Amnesty condanna le uccisioni dei dipendenti delle compagnie e riconosce la responsabilità delle autorità Indonesiane ad identificare e portare all'autorità giustizia i sospettati dell'attentato. Allo stesso tempo, Amnesty è anche gravemente preoccupata per le misure arbitrarie e sproporzionate prese dall'unità paramilitare Brimob in risposta agli attacchi. Le informazioni disponibili suggeriscono che queste azioni erano delle vere e proprie rappresaglie contro l'intera comunità, e non la risposta alla necessità di portare alla giustizia i responsabili delle uccisioni.
Durante tutta l'operazione, almeno sette persone sono state uccise e una è morta in seguito alle torture subite in carcere. Ventisette persone sono state condannate alla detenzione dopo processi giudiziari iniqui. Oltre 100 persone sono state arrestate, torturate o altrimenti maltrattate.
Amnesty chiede al governo Indonesiano un'indagine indipendente sugli abusi compiuti a Wasior e di portare i responsabili alla giustizia. Il fallimento del governo nel prendere azioni credibili ed efficaci per indagare sui casi come quelli avvenuti a Wasior consolida l'impunità e contribuisce ai problemi sulla sicurezza. Alle compagnie nazionali e multinazionali, Amnesty chiede di assicurarsi che le loro operazioni economiche non abbiano alcun impatto negativo sui diritti umani e le libertà fondamentali delle popolazioni locali, quindi chiede di non ingaggiare forze di sicurezza contro cui esistono credibili accuse di violazioni dei diritti umani, e di impedire l'uso dei loro impianti da parte di coloro che intendono violare i diritti umani.
Gli eventi accaduti a Wasior nel 2001, aumentano le preoccupazioni sugli effetti che potrebbe avere lo sviluppo dell'estrazione di gas naturale nella Bintuni Bay, a circa 250 km da Wasior, da parte della British Petroleum (BP). Oltre alle preoccupazioni legate al possibile impatto di tale progetto sull'ambiente e sulle popolazioni indigene, ci si chiede come possa essere garantita la sicurezza di questo nuovo progetto garantendo allo stesso tempo che coloro che forniscono la sicurezza non commetteranno violazioni dei diritti umani.
Amnesty non prende posizione sullo status politico della Papua, né sull'esistenza delle operazioni commerciali. L'organizzazione chiede solo il rispetto e la protezione dei diritti umani di coloro che vivono nella provincia e chiede che tali diritti non dovrebbero essere ignorati per il raggiungimento di obiettivi politici o messi in secondo piano per lo sviluppo economico. Amnesty considera come responsabilità primaria del governo indonesiano quella di assicurare la protezione dei diritti umani, ma crede che anche altri attori, come le multinazionali, abbiano la responsabilità di assicurare la tutela dei diritti umani nelle aree in cui operano. Infine chiede ai gruppi armati di non commettere violazioni di diritti umani.